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Sostenibilità Ambientale

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La Democrazia può salvare il Pianeta?


  1. Introduzione generale al tema.

Sostenibilità ambientale1

Ci troviamo sempre più spesso, sia a livello locale sia a livello globale, a dover decidere in situazioni sempre più complesse, incerte ed urgenti, su questioni etiche e politiche che toccano i temi più svariati, accomunati nello scenario della sostenibilità: dall’integrazione sociale, alla crisi energetica, economica e climatica, alla sicurezza alimentare. La scienza e la tecnologia, un tempo alleate sicure sia nel porre con chiarezza i problemi da affrontare sia nel provvedere a risolverli, sono oggi in modo sempre più evidente a loro volta strumenti da gestire con saggezza politica.

Il modello decisionale moderno per il quale dal ‘vero’ della scienza discende necessariamente il ‘giusto’ della politica ha funzionato bene fino a che la ricerca scientifica e l’impresa tecnologica si svolgevano nel contesto controllato, semplificato e reversibile dei laboratori. Oggi non è più così. Nel corso dell’ultimo secolo si è assistito ad una progressiva e rapida estensione della capacità della scienza e della tecnologia di modificare, spostare e trasformare materia ed energia sul pianeta, in tempi sempre più brevi. In termini generali, siamo di fronte ad un aumento esponenziale della potenza di interazione tra tecnoscienza, ambiente e società.

Si tratta quindi di determinare delle forme diverse di controllo pubblico della qualità della conoscenza. Questo implica la necessità, non soltanto etica e politica, ma primariamente cognitiva e metodologica, di estendere la partecipazione pubblica nei processi decisionali.


  1. Alcune questioni di attualizzazione per favorire la discussione.

• Chi deve decidere delle questioni che riguardano la vita sul Pianeta? (salvaguardia dei contesti ambientali, sfruttamento e rigenerazione delle risorse naturali, biodiversità…)?

• Quale dev’essere il ruolo della società civile? Siamo pronti a cambiare stile di vita? Basterà?

• La politica democratica è in grado di prendere decisioni per il bene pubblico?

• Che responsabilità hanno economia ed industria nei confronti della vita sul pianeta?

• I cittadini possono intervenire nel processo decisionale?


  1. Alcuni brani e testi di riferimento.

Se l’uomo vuole avere la coscienza pulita, deve aspirare a una società senza rifiuti. L’uomo ospite della natura deve comportarsi di conseguenza. Una società usa e getta non è accettabile. L’uomo deve riconoscere di essere il parassita più pericoloso che abbia mai devastato la terra. L’uomo deve ritirarsi entro 1 propri spazi in modo che la terra possa rigenerarsi. La vegetazione ha impiegato milioni di anni per ricoprire le sostanze velenose con uno strato di humus, di piante e d’ossigeno così che l’uomo potesse vivere sulla terra e lui, ingrato, riporta in superficie queste sostanze sotterrate grazie a una lunga e laboriosa opera del cosmo. Così, a causa del crimine commesso dall’uomo irresponsabile, la fine del mondo tornerà a essere l’inizio di tutti i tempi. Ci stiamo suicidando. Le nostre città sono ulcerazioni tumorali. Siamo tutti responsabili dei nostri rifiuti. I rifiuti dovrebbero essere messi fuori legge. Si dovrebbero punire coloro che li producono, l’industria dell’imballaggio, i responsabili diretti o indiretti della loro produzione, cioè tutti noi, in modo da ottenerne l’eliminazione radicale. Noi non mangiamo quello che cresce dalle nostre parti, andiamo a procurarci il cibo lontano, in africa, in america, in Cina, in Nuova Zelanda. I rifiuti però non ce li teniamo. Le nostre immondizie, i nostri scarti vengono allontanati e inquinano fiumi, laghi e mari. Gli escrementi non tornano mai a fertilizzare i nostri campi né i luoghi dai quali proviene il cibo. Abbiamo preghiere da recitare prima e dopo i pasti. Nel defecare però nessuno pronuncia preghiere. Ringraziamo dio per il pane quotidiano che ci viene dalla terra, ma non preghiamo perché i nostri escrementi possano venire trasformati. I rifiuti sono belli. La cernita e la reintegrazione dei rifiuti nella natura sono attività belle e piacevoli.”

Per un mondo senza rifiuti

18 dicembre 1989

Friensreich Hundertwasser


Diversamente dalle due figure simboliche che l’hanno preceduto, il cacciatore non è minimamente interessato all’«equilibrio delle cose», sia esso «naturale» oppure progettato e meditato. L’unico compito che i cacciatori perseguono è «uccidere» e continuare a farlo, finché i loro carnieri non sono colmi fino all’orlo. Sicuramente non ritengono loro dovere garantire che la disponibilità di selvaggina nella foresta possa ricostituirsi dopo (e malgrado) la loro caccia. Se i boschi sono rimasti senza selvaggina a seguito di una scorribanda particolarmente proficua, i cacciatori possono spostarsi in un’altra zona relativamente intatta, ancora pullulante di potenziali trofei di caccia. Può darsi che a un certo punto, in un futuro lontano e ancora indefinito, il pianeta rimanga a corto di boschi ancora ricchi di selvaggina; ma se così sarà, loro non lo vedono comunque come un problema immediato (e certamente non come un loro problema).

[…]

Adesso siamo tutti cacciatori, o così ci dicono, e siamo chiamati o costretti ad agire da cacciatori, pena l’esclusione dalla caccia, o addirittura la retrocessione a selvaggina. […] E dovremo impegnarci molto prima di scorgere un giardiniere intento a vagheggiare, dietro la staccionata del suo giardino privato, una qualche armonia già progettata, e poi uscire per trasformarla in realtà(questa relativa penuria di giardinieri e la crescente abbondanza di cacciatori è quello di cui parlano gli studiosi di scienze sociali indicandolo col dotto termine di «individualizzazione»). Sicuramente non incontreremo molti guardacaccia, e neppure cacciatori con i rudimenti della concezione del mondo di un guardacaccia: e questa è la principale ragione per cui le persone con «coscienza ecologica» sono allarmate e fanno del loro meglio per mettere in guardia il resto di noi (questa lenta ma costante estinzione della filosofia del «guardacaccia» insieme al declino della sua

variante, la filosofia «del giardiniere», è ciò che gli uomini politici esaltano sotto il nome di «deregulation».

[…] E perciò anche se si sapesse come fare per rendere migliore il mondo, e si prendesse a cuore il compito di renderlo migliore, il vero scoglio da superare sarebbe individuare qualcuno che dispone di risorse sufficienti e di un’adeguata volontà per fare ciò che va fatto…

Era dall’autorità sovrana dello Stato-nazione che ci si aspettava potesse venire una simile disponibilità di risorse e volontà di agire, ma […] «le nazioni hanno perso influenza sull’andamento degli affari e hanno abbandonato alle forze della globalizzazione tutti gli strumenti per guidare il mondo verso una destinazione e per organizzare una difesa contro tutte le varianti della paura».

Zygmunt Bauman, Modus Vivendi, Laterza 2007 p. 115


L’intervista
Rifkin: vi spiego la terza rivoluzione industriale
http://www.rassegna.it/articoli/2010/09/24/66830/rifkin-vi-spiego-la-terza-rivoluzione-industriale

Ogni fabbricato dovrà produrre almeno una parte dell’energia che consuma, mentre i nuovi immobili dovranno essere a bilancio energetico positivo. Questo permetterà di creare milioni di posti di lavoro. “Dobbiamo ingegnarci: il Rinascimento nacque così”

di Vincenzo Moretti

Lo vogliamo dire? Nell’era di internet, della società della conoscenza, del capitale immateriale, fa un certo effetto constatare che al centro della civiltà dell’empatia Rifkiniana ci siano l’industria, la fabbrica, il cantiere. E fa ancora più effetto sentire perché sarebbe “facile”, anche per il nostro Paese, avviare un processo di crescita sostenibile destinato a creare diverse centinaia di migliaia di nuovi e qualificati posti di lavoro in pochi anni. Questioni di scelte. Di visione nazionale. Di politica industriale. Esattamente quello che è mancato in questa fase nel Belpaese. Ma è meglio non anticipare troppo e cominciare dal principio, da quello che Jeremy Rifkin – presidente di Foundation on Economic Trends (www.foet.org) e autore di numerosi bestseller sull’impatto del cambiamento scientifico e tecnologico sull’economia, il lavoro, la società –, ci ha detto a proposito del disastro causato dalla British Petroleum.

La catastrofe del Golfo del Messico – spiega – ha ormai raggiunto una proporzione pari a sette o otto volte il disastro provocato dalla Exxon Valdez. Ciò dimostra quanto disperati e dipendenti siamo diventati, al termine dell’era dei carburanti fossili: pur essendo consapevoli dei danni che possono provocare sul lungo termine agli ecosistemi, siamo disposti a lanciarci in rischiosissime imprese di trivellazione off-shore perché dipendiamo da quelle risorse, tant’è che nel luglio 2008 l’intero motore economico della seconda rivoluzione industriale si è fermato. Come ho ripetuto più volte a governi e imprenditori, il vero terremoto è stato quello. Il collasso del mercato finanziario, sessanta giorni dopo, era una scossa di assestamento. E anche se al momento l’economia sta tentando di riprendersi, in misura estremamente contenuta ma pur sempre su scala mondiale, siamo ancora alle prese con le scosse di assestamento, non ne siamo ancora venuti fuori.

Immaginiamo che a suo avviso per venirne fuori davvero ci sia bisogno della terza rivoluzione industriale. Ma al di là dell’indubbio fascino evocativo, a che punto siamo concretamente?

Il concetto di terza rivoluzione industriale è stato assunto dal Parlamento Europeo nel 2007, quando l’allora presidente Pöttering l’ha definita una strategia di lungo termine per l’Unione Europea. Il lavoro fatto finora è proceduto a diverse velocità, tanto all’interno della Commissione quanto nell’ambito dei singoli Stati membri. Nel frattempo, circa un anno e mezzo fa, abbiamo fondato la Third Industrial Revolution Global CEO Business Roundtable, una coalizione globale composta da aziende che operano nel settore delle energie rinnovabili, nel settore edilizio, in quello immobiliare, delle tecnologie delle comunicazioni, dei servizi logistici, dei trasporti, delle forniture energetiche. Obiettivo della coalizione è elaborare una serie di master plan per le varie città e regioni, affinché queste possano iniziare a dotarsi dell’infrastruttura di cui la terza rivoluzione industriale necessita.

Un aspetto importante del nostro lavoro, che credo sia interessante per la vostra fondazione e per il movimento sindacale in generale, è che noi proponiamo un vero e proprio piano di sviluppo economico, non un piano sul clima o sull’energia.

Il nesso tra sviluppo ecosostenibile, crescita economica e occupazione delinea sicuramente, per il movimento sindacale, uno scenario di grande interesse.

Certo. Noi poniamo l’accento sugli investimenti, non sulla spesa pubblica. Ogni regione, ogni città, genera il proprio prodotto interno lordo e ogni anno una determinata percentuale di questo Pil generato localmente viene reinvestita. Strade, ponti, case, reti di distribuzione energetica, infrastrutture logistiche: non importa se le cose vanno bene o vanno male, una parte del Pil viene comunque ridestinata alle opere di miglioria. Prendiamo il caso di Roma, che attualmente reinveste circa 25 miliardi di euro all’anno, sarebbe a dire un quinto del suo Pil. La media di investimenti necessari da noi prevista per i prossimi vent’anni è di circa 500 milioni di euro annui, 10 miliardi in 20 anni. Stando ai nostri calcoli, se Roma si limitasse a dedicare agli interventi da noi previsti l’1,5 per cento degli investimenti infrastrutturali che effettuerebbe in ogni caso, riuscirebbe a raggiungere gli obiettivi prefissati. Quindi complessivamente a Roma, per farcela, basterebbe spendere circa lo 0,3 per cento del proprio Pil. Questo discorso vale naturalmente per tutte le città e le regioni finora prese in esame: basterebbe dedicare al massimo il 3 per cento degli investimenti ai nuovi interventi, continuando a spendere il rimanente 97 per cento per il mantenimento delle vecchie infrastrutture ormai in malora, e ce la potremmo ancora fare. Ribadisco che si tratta di soldi che le amministrazioni dovrebbero comunque spendere dato che è tutto vecchio: fonti energetiche, infrastrutture, edifici, sistemi di stoccaggio, e non possiamo lasciare che cada tutto a pezzi.

Sembra facile. In realtà occorre un cambiamento di cultura e di approccio da parte dei diversi soggetti coinvolti, politica e istituzioni, imprese, sindacati, cooperative e terzo settore, ecc..

Esatto. I soggetti e le aziende presenti sul territorio devono capire che si tratta di un’enorme opportunità, che si tratta di reinventare l’economia esattamente come avvenne durante la prima rivoluzione industriale, quando fu realizzata la rete ferroviaria e di trasporto e si costruirono i grandi centri urbani. Oggi, con la terza rivoluzione industriale, ogni singolo fabbricato, dagli uffici agli impianti industriali alle case, dovrà produrre almeno parte dell’energia che consuma. Mentre gli immobili di nuova costruzione dovranno essere a bilancio energetico positivo. Significa creare milioni di posti di lavoro.

Uno scenario che a sentire lei sembra a portata di mano.

Certamente. In Germania ad esempio, dove ho fornito consulenza al cancelliere Merkel, sono stati già avviati gli interventi per la realizzazione dei quattro pilastri fondamentali. Stanno, infatti: installando impianti per le rinnovabili in tutto il paese, scelta che ha permesso di creare 220.000 posti di lavoro in pochi anni; trasformando il proprio intero patrimonio edilizio in centrali energetiche, affinché ogni stabile possa catturare la propria energia direttamente in loco; realizzando depositi di idrogeno in tutta la Germania; predisponendo una rete di distribuzione intelligente. Potrei citare anche la Spagna, che è il numero due sul fronte delle rinnovabili e sta anch’essa avviando la terza rivoluzione industriale. Perché non l’Italia?

Verrebbe da dire perché l’attuale governo ha scelto ancora una volta la via del nucleare e della centralizzazione, piuttosto che la via dell’ecosostenibile, delle rinnovabili, del decentramento.

A mio avviso il terreno dello scontro rimane politico, ma presenta caratteristiche diverse dalla fase in cui viveva sulla distinzione tra conservatori e riformisti. Io sono convinto che il nuovo terreno di scontro sia di natura generazionale. I giovani non pensano in termini di destra e sinistra, ritengono che lo scontro sia tra il modello patriarcale, centralizzato e piramidale da una parte, e il modello distribuito, dell’open source e delle creative commons dall’altra. È una generazione cresciuta su internet, abituata a Wikipedia, a condividere codici sorgente, codici computazionali e software, a usare Youtube e Facebook, tutti spazi collaborativi dove condividono le informazioni in maniera distribuita.

Su questa storia del superamento delle categorie di “destra” e “sinistra” ci sarebbe molto da discutere, a partire dal modello sociale, dal controllo dei mezzi di produzione e di distribuzione e dal fine ultimo dell’impres: il mero profitto o la crescita distribuita. Difficile invece non convenire sul fatto che si sta diffondendo una sensibilità trasversale intorno a questi temi.

Proprio così. La posta in gioco è la democratizzazione dell’energia, nel senso di power to the people. Si tratta da una parte di un modello di mercato dove ciascuno produce la propria energia, dall’altra di un modello collaborativo basato sulla condivisione tra pari dell’energia prodotta da ciascuna città, paese, continente. Per Roma proponiamo tra l’altro la costituzione di cooperative energetiche sull’intero territorio cittadino. L’idea è quella di lavorare con le imprese locali e nazionali e creare un sistema ibrido che offra a tutti gli attori territoriali la possibilità di fondare cooperative che riducano i margini di rischio per poi stringere accordi collaborativi che prevedano la condivisione dell’energia prodotta, attraverso reti distribuite connesse con il resto d’Europa e con il Mediterraneo. È il modello sociale e di mercato del ventunesimo secolo. Non è un caso che la Lega Coop sia tra i soggetti con un ruolo da protagonista in questo processo.

Torniamo alla questione lavoro, che in Italia presenta sempre più i caratteri dell’emergenza nazionale. Lei prima ha parlato della possibilità, con la terza rivoluzione industriale, di creare milioni di posti di lavoro. Possiamo provare a dare maggiore consistenza alla sua affermazione?

Se provo a pormi dal punto di vista del movimento sindacale le mie domande sono queste: una centrale a carbone, quanti posti di lavoro può creare? E una centrale nucleare? La Germania, che rimane un paese con un’economia trainante, ha dimostrato che le energie rinnovabili possono creare moltissima occupazione. Duecentoventimila posti di lavoro nel giro di pochi anni a fronte di un pugno di posti di lavoro in tutti gli altri settori. Il movimento sindacale dovrebbe anche rendersi conto che la chiave di tutto è l’edilizia: è quello l’elefante nella stanza, l’evidenza che nessuno vuole vedere. Abbiamo l’opportunità di riprogettare ogni singolo fabbricato italiano per trasformarlo in una centrale energetica: dal punto di vista del lavoro, il ritorno sull’investimento è immenso.

E poi c’è il fatto che la creatività che esprimete in Italia non ha pari. E avete anche una validissima comunità di piccole e medie imprese. Ora, da Roma in su l’Italia è una grande centrale, mentre da Roma in giù avete un’enorme quantità di energie rinnovabili. Pensate alle opportunità economiche che si verrebbero a creare stabilendo una forte alleanza tra chi produce le energie della terza rivoluzione industriale e chi produce il manifatturiero. Potreste costruire un’Italia omogenea e superare lo squilibrio tra meridione e settentrione.

Questo del superamento degli squilibri tra Nord e Sud, della definizione di nuovi e più avanzati equilibri è certamente un altro snodo decisivo.

Dal punto di vista dell’energia, da Bari alla Sicilia avete un’Arabia Saudita. C’è tutto: solare, eolico, marino. La sfida è riuscire a incanalare tutta questa energia con tecnologie al passo con la terza rivoluzione industriale, quindi fonti rinnovabili, riconfigurazione degli edifici, predisposizione di reti di distribuzione intelligenti e le altre cose che abbiamo detto, per poi stabilire una nuova relazione economica con l’Italia settentrionale. Posso dire che bisognerebbe guardare di più alle opportunità che tutto questo offre? Che vedo il futuro del movimento sindacale in buona parte qui?

Opportunità, come quelle che servono per lasciarci alle spalle la questione meridionale e ragionare in termini di risposta meridionale. Una risposta fondata sull’industria e sul lavoro ecosostenibile, sulle opportunità di crescita e di futuro.

Sì, opportunità di crescita sostenibile. Lo scontro non può continuare ad avvenire soltanto su quanto ancora toglieranno ai lavoratori e alle lavoratrici, occorre reinvestire nel nome di una giovane generazione di lavoratori. Dobbiamo saperci ingegnare. Il Rinascimento nacque da questo, ed è così che daremo corso al Rinascimento del ventunesimo secolo: sarebbe a dire un rinascimento energetico.
(Il Mese, settembre 2010)


Allarme piante una su cinque a rischio
Inquinamento, deforestazione e parassiti spingono all’estinzione il venti per cento delle specie vegetali. “Il pianeta va verso il collasso e i governi non fanno nulla”. Il dossier delle accuse sarà presentato all’Onu il 18 ottobre
Andrea Malaguti

Corrispondente da Londra

http://www3.lastampa.it/ambiente/sezioni/ambiente/articolo/lstp/343742/

Il pianeta rischia il collasso, una bancarotta della natura senza precedenti. «Un quinto delle 380 mila specie di piante che ci sono nel mondo, il cuore stesso della vita, è a un passo dell’estinzione. E a tenere la pistola puntata sulla tempia dell’ecosistema siamo noi stessi». Il direttore dei Royal Botanic Gardens di Kew, Stephen Hopper, scende la scala a chiocciola della Palm House, forse la più bella costruzione di ferro e vetro della Gran Bretagna. Una luce larga buca il cielo compatto di fine settembre. Hopper attraversa i 121 ettari di giardini perdendosi tra 50 mila specie vegetali e sette serre ricche di gigli e orchidee. Decine di scienziati sono al lavoro. «Questo è il mondo che piace a noi». Se uno ci crede, il Paradiso deve essere qualcosa di molto simile.

Hopper si siede su una panchina di legno chiaro. Ha una faccia larga, riposante. Apre un dossier che contiene i dati della ricerca fatta in collaborazione con il Museo di Storia Natuale e con l’International Union for the Conservation of the Nature. Legge il rapporto. «La minaccia maggiore arriva dalla conversione di habitat naturali all’uso agricolo che mette a rischio il 33% delle piante. Solo in Brasile il 90% della foresta è stata convertita in campi o insediamenti urbani. Temo che non molti capiscano il rischio che corriamo». Gli uomini si mangiano tutto. E quando non sono gli uomini, magari sono funghi patogeni che attaccano le radici degli alberi. Un processo sempre più vasto. Dall’Europa centrale scompare il bucaneve, il Sud Africa perde le conifere e in Madagascar spariscono 1500 km quadrati di foreste l’anno. Con questo ritmo non resterà una foglia entro il 2067. «Non possiamo guardare le piante scomparire. Sono alla base della vita. Forniscono aria pulita, aria, cibo e carburante. Gli uccelli dipendono dalle piante. E anche noi».

Ci sono voluti cinque anni per concludere la ricerca che sarà presentata il 18 ottobre a Nagoya, in Giappone, al 10° summit dell’Onu sulla diversità biologica. Nel 2002, con una formula volutamente generica, i governi si erano impegnati «ad assumere azioni concrete per arrestare la perdità della biodiversità entro il 2020». Che cosa è stato fatto professore? «Niente».

Il segretario dell’Onu, Ban Ki moon, scrive che «le conseguenze di questo fallimento, se non sarà rapidamente corretto, saranno gravi». E Ahmed Djoghlaf, segretario della Convenzione, aggiunge: «Se i mercati azionari mondiali avessero avuto le stesse perdite che sta subendo la natura, ci sarebbe il panico».
Mentre le 10.127 specie di uccelli, le 5490 di mammiferi e le 6285 di anfibi sono state catalogate, per completare il «Sample Red List Index», gli scienziati hanno selezionato 1500 specie da ognuno dei cinque più importanti gruppi di piante. Un campione. Largo, ma non definitivo. «Ma – dice Hopper – ho appena letto che nel Golfo del Messico sono tornate le foche, che nel 1982 erano state dichiarate estinte. Non tutto è perduto. Dipende da noi».


  1. Un’attività didattica da fare in classe.
  • Calcolo dell’impronta ecologica: il sito www.footprintnetwork.org/it/index.php/GFN/ offre un buono strumento di calcolo dell’impronta personale, semplice e d’effetto, nonché approfondimenti sul concetto di impronta ecologica, sull’impatto dei sistemi macro e meso (impronta della nazione, della città, dell’azienda).

Altri strumenti di calcolo dell’impronta sono disponibili sul sito internet www.democrazia20.it, facilmente rintracciabili attraverso il motore di ricerca di delicious: www.delicious.com/pyoulife/impronta


  • Visita virtuale dei luoghi a forte incidenza antropica legata all’approvvigionamento energetico: aree d’estrazione petrolifera, zone deforestate, centrali elettronucleari italiane.
  1. Brasile: Rondonia, la fascia deforestata tra Itaituba e Maraba…

L’intera fascia meridionale della foresta pluviale amazzonica è interessata da forte disboscamento, tanto per lo sfruttamento delle risorse lignee quanto per la coltivazione intensiva.

Gli effetti sono evidenti, ben visibili anche da grandi altitudini:

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=Rond%C3%B4nia,+Brasil&mrt=all&sll=-10.865676,-63.259277&sspn=5.683851,14.0625&ie=UTF8&hq=&hnear=Rond%C3%B4nia,+Brasile&ll=-10.703792,-62.677002&spn=5.686904,14.0625&t=h&z=7

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=Rond%C3%B4nia,+Brasil&mrt=all&sll=-10.865676, 63.259277&sspn=5.683851,14.0625&ie=UTF8&hq=&hnear=Rond%C3%B4nia,+Brasile&ll=-10.15207,-58.429413&spn=0.712389,1.757812&t=h&z=10

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=Rond%C3%B4nia,+Brasil&mrt=all&sll=-10.865676,-63.259277&sspn=5.683851,14.0625&ie=UTF8&hq=&hnear=Rond%C3%B4nia,+Brasile&ll=-4.047837,-54.374084&spn=1.443802,3.515625&t=h&z=9

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=Rond%C3%B4nia,+Brasil&mrt=all&sll=-10.865676,-63.259277&sspn=5.683851,14.0625&ie=UTF8&hq=&hnear=Rond%C3%B4nia,+Brasile&ll=-4.017699,-49.968567&spn=1.443856,3.515625&t=h&z=9

Suggestione video tematica: http://www.youtube.com/watch?v=x0CTMEmBuc0&feature=related

  1. Africa: pozzi petroliferi del Delta del Niger.

Sono ben visibili anche ad alta quota: su tutto il territorio del Delta, compromesso dallo sfruttamento dei giacimenti, si possono osservare punti rossi dovuti alle fiamme: i campi di estrazione in quest’area sono circa 250.

Molti sono osservabili da vicino; ecco alcuni esempi:

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=niger&mrt=all&sll=30.358656,43.03894&sspn=2.497755,4.938354&ie=UTF8&hq=&hnear=Niger&t=h&ll=4.558533,6.975718&spn=0.005636,0.013733&z=17

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=niger&mrt=all&sll=30.358656,43.03894&sspn=2.497755,4.938354&ie=UTF8&hq=&hnear=Niger&ll=4.530394,6.820364&spn=0.005636,0.013733&t=h&z=17

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=niger&mrt=all&sll=30.358656,43.03894&sspn=2.497755,4.938354&ie=UTF8&hq=&hnear=Niger&ll=4.530394,6.820364&spn=0.005636,0.013733&t=h&z=17

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=niger&mrt=all&sll=30.358656,43.03894&sspn=2.497755,4.938354&ie=UTF8&hq=&hnear=Niger&ll=4.801265,6.086147&spn=0.005634,0.013733&t=h&z=17

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=niger&mrt=all&sll=30.358656,43.03894&sspn=2.497755,4.938354&ie=UTF8&hq=&hnear=Niger&ll=4.801265,6.086147&spn=0.005634,0.013733&t=h&z=17

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=niger&mrt=all&sll=30.358656,43.03894&sspn=2.497755,4.938354&ie=UTF8&hq=&hnear=Niger&ll=4.901124,5.723534&spn=0.180269,0.439453&t=h&z=12

Per un approfondimento tematico sugli aspetti ambientali, sociali ed economici dello sfruttamento dei giacimenti del Delta del Niger, si consiglia il documentario prodotto dalla trasmissione Rai “Report”, visionabile qui: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-649fab67-cc1b-4f85-acbb-a29ec785b786.html?p=0

  1. Estrazione da lavorazione delle sabbie bituminose, principalmente nello Stato di Alberta, Canada, e nella cintura dell’Orinoco, Venezuela.

L’estrazione ha un impatto particolarmente gravoso sull’ecosistema. In Alberta questa forma di estrazione ha distrutto completamente, a causa delle miniere a cielo aperto, la foresta boreale con conseguenze dirette sull’aria. Centinaia di chilometri quadrati di territorio sono stati devastati.

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&q=Fort+McMurray,+Wood+Buffalo,+Division+No.+16,+Alberta,+Canada&mrt=all&sll=54.788413,-113.234711&sspn=0.208648,0.878906&ie=UTF8&cd=1&geocode=FVKaYQMdcnZc-Q&split=0&hq=&hnear=Fort+McMurray,+Wood+Buffalo,+Division+No.+16,+Alberta,+Canada&ll=57.016814,-111.474152&spn=0.196994,0.878906&t=h&z=11

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&q=Fort+McMurray,+Wood+Buffalo,+Division+No.+16,+Alberta,+Canada&mrt=all&sll=54.788413,-113.234711&sspn=0.208648,0.878906&ie=UTF8&cd=1&geocode=FVKaYQMdcnZc-Q&split=0&hq=&hnear=Fort+McMurray,+Wood+Buffalo,+Division+No.+16,+Alberta,+Canada&ll=57.016814,-111.474152&spn=0.196994,0.878906&t=h&z=11

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&q=Fort+McMurray,+Wood+Buffalo,+Division+No.+16,+Alberta,+Canada&mrt=all&sll=54.788413,-113.234711&sspn=0.208648,0.878906&ie=UTF8&cd=1&geocode=FVKaYQMdcnZc-Q&split=0&hq=&hnear=Fort+McMurray,+Wood+Buffalo,+Division+No.+16,+Alberta,+Canada&ll=57.305015,-111.456985&spn=0.195465,0.878906&t=h&z=11

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&q=Fort+McMurray,+Wood+Buffalo,+Division+No.+16,+Alberta,+Canada&mrt=all&sll=54.788413,-113.234711&sspn=0.208648,0.878906&ie=UTF8&cd=1&geocode=FVKaYQMdcnZc-Q&split=0&hq=&hnear=Fort+McMurray,+Wood+Buffalo,+Division+No.+16,+Alberta,+Canada&ll=55.601239,-116.299038&spn=0.051108,0.219727&t=h&z=13

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&q=Fort+McMurray,+Wood+Buffalo,+Division+No.+16,+Alberta,+Canada&mrt=all&sll=54.788413,-113.234711&sspn=0.208648,0.878906&ie=UTF8&cd=1&geocode=FVKaYQMdcnZc-Q&split=0&hq=&hnear=Fort+McMurray,+Wood+Buffalo,+Division+No.+16,+Alberta,+Canada&ll=55.692004,-116.361523&spn=0.05099,0.219727&t=h&z=13

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&q=Fort+McMurray,+Wood+Buffalo,+Division+No.+16,+Alberta,+Canada&mrt=all&sll=54.788413,-113.234711&sspn=0.208648,0.878906&ie=UTF8&cd=1&geocode=FVKaYQMdcnZc-Q&split=0&hq=&hnear=Fort+McMurray,+Wood+Buffalo,+Division+No.+16,+Alberta,+Canada&ll=55.692004,-116.361523&spn=0.05099,0.219727&t=h&z=13

http://maps.google.com/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=Orinoco+venezuela&mrt=all&sll=8.776511,-62.341919&sspn=0.715244,1.757812&ie=UTF8&hq=&hnear=Orinoco,+Ciudad+Guayana,+Caroni,+Bol%C3%ADvar,+Venezuela&ll=8.335839,-62.870636&spn=0.358038,0.878906&t=h&z=11

Per un approfondimento tematico: http://www.youtube.com/watch?v=7vvLMaIOwT8

http://www.youtube.com/watch?v=Eucr370Oz60

Naturalmente i campi di estrazione petrolifera sono moltissimi; una lista è consultabile all’indirizzo http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_campi_petroliferi

Infine, a quest’indirizzo è possibile osservare l’estensione della fuoriuscita di greggio causata dall’incidente alla piattaforma petrolifera off-shore Deepwater Horizon; lo strumento permette di spostare la macchia sulla località desiderata, per osservarne la portata: http://www.ifitweremyhome.com/disasters/bp

  1. Centrali nucleari, numerose in tutto il mondo, meno conosciute quelle italiane:

Borgo Sabotino, Latina

http://it.wikipedia.org/wiki/Centrale_elettronucleare_Latina

http://maps.google.com/maps?hl=it&ie=UTF8&ll=41.428956,12.813234&spn=0.008479,0.027466&t=h&z=16&iwloc=lyrftr:org.wikipedia.it,8589848859801984262,41.425288,12.807248&lci=org.wikipedia.it

Sessa Aurunca, Cecina

http://it.wikipedia.org/wiki/Centrale_elettronucleare_Garigliano

http://maps.google.com/maps?t=k&q=41.258155,13.834394&ie=UTF8&ll=41.259711,13.835692&spn=0.00425,0.013733&z=17&iwloc=lyrftr:org.wikipedia.it,17448200067170658524,41.258001,13.834995&lci=org.wikipedia.it

Trino, Vercelli

http://it.wikipedia.org/wiki/Centrale_elettronucleare_Enrico_Fermi

http://maps.google.com/maps?t=k&q=45.184094,8.277556&ie=UTF8&ll=45.188147,8.28485&spn=0.01594,0.054932&z=15&iwloc=8532603515285559928&lci=org.wikipedia.it

Caorso, Piacenza

http://it.wikipedia.org/wiki/Centrale_elettronucleare_Caorso

http://maps.google.it/maps?q=caorso+pc&oe=utf-8&client=firefox-a&ie=UTF8&hq=&hnear=Caorso+Piacenza,+Emilia+Romagna&gl=it&ei=WOStTISeM4SCOq3UmJUG&ved=0CBcQ8gEwAA&ll=45.073642,9.878769&spn=0.015972,0.054932&t=h&z=15&iwloc=lyrftr:org.wikipedia.it,2973862452104309948,45.072066,9.87216&lci=org.wikipedia.it

Per un approfondimento tematico, si consiglia il documentario prodotto dalla trasmissione Rai “Report”, visionabile all’indirizzo http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-17f2ebfb-98a5-428f-8df2-d1634b60decc.html


  1. Film legati alla tematica


Video tratti da Why Democracy?

Old Peter (10′ circa) di Ivan Golovnev

Il dialogo tra le persone, la natura e gli dei si basa su conoscenza sacra e mitologia. Nel mondo moderno sopravvivono solo alcune impostazioni culturali basate sul mito. Questo film ci porta dentro il mondo di Old Peter, l’ultimo sciamano del fiume Kazym superstite: la sua sopravvivenza nella taiga siberiana, la sua partecipazione al voto.
La regione del popolo Khanty è la fonte di base dell’estrazione petrolifera in Russia. Circa il 70 per cento del petrolio russo viene estratto qui; le compagnie petrolifere acquistano enormi territori nel nord della Siberia. I popoli indigeni sono costretti a lasciare questi luoghi, e così una civiltà moderna assorbe gradualmente una cultura antica.
Old Peter vota a ogni elezione, ma questo non ha contribuito a fermare la distruzione della sua cultura attraverso l’estrazione intensiva del petrolio per il consumo di massa.

Palagummi Sainath on Inequality (10′ circa) di Deepa Bhatia
Palagummi Sainath (1957 -), il vincitore 2007 del Premio Ramon Magsaysay per il giornalismo, la letteratura, arti creative e di comunicazione, è un premiato giornalista indiano specializzato sullo sviluppo – un termine che evita, preferendo invece dichiararsi ‘reporter rurale’ – o semplicemente ‘reporter’ e fotoreporter; il suo lavoro si concentra su problemi sociali, affari rurali, povertà e conseguenze della globalizzazione in India. Negli ultimi 14 anni ha trascorso tra 270 e 300 giorni l’anno nella aree rurali interne (nel 2006, oltre 300 giorni). E’ Rural Affairs Editor di The Hindu, e contribuisce con le sue colonne alla redazione di India Together. Il suo lavoro vanta l’elogio del premio Nobel Amartya Sen che lo ha denominato “uno dei più grandi esperti al mondo su carestia e fame”.


Video tratti da Current Tv

(video da ricercare sul sito di Current Tv, nella sezione Italia, tra le ultime puntate) http://current.com/shows/inchieste-italiane/)

Come salvare il pianeta

Rifiuti connection

Discariche in Trentino

Diossina: effetti collaterali

La storia delle cose

Annie Leonard ci spiega qual’è il problema della corsa al consumismo iniziata negli anni 50. Il perchè oggi ci stiamo dirigendo contro un muro.

La storia delle cose – parte 1

http://www.youtube.com/watch?v=18a1GQUZ1eU

La storia delle cose – parte 2

http://www.youtube.com/watch?v=fRrpNgIG0jA


La storia delle cose – parte 3

http://www.youtube.com/watch?v=WwAgiNbcsIg&feature=relatedhttp://www.youtube.com/watch?v=WwAgiNbcsIg&feature=related

1Fonte: www.democrazia20.it testo a cura di Alice Benessia, Maria Bucci, Simone Contu, Vincenzo Guarnieri.

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