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Scuola e Capitale sociale

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La scuola è palestra di Democrazia??


  1. Introduzione generale al tema.

«Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito.»

Antoine de Saint-Exupéry

La citazione di Saint Exupéry può aiutare a introdurre un primo orizzonte di riferimento per l’idea di funzione pubblica della scuola, richiamando il tema del sogno: la scuola riesce ad essere quel luogo in cui si sviluppa il desiderio di «sognare il mare»? Gli studenti, attraverso l’esperienza scolastica, riescono a comprendere il bisogno di immaginarsi un futuro da cittadini inseriti in un contesto collettivo? Andando più in profondità, ci si può chiedere se la scuola riesca ad essere fucina di futuro condiviso a livello sociale, costruttrice quindi di quel popolo sovrano evocato nella premessa generale.

L’analisi della scuola di oggi porta a considerare come problematico proprio questo aspetto: la sfida di oggi non è più solamente relativa al ruolo emancipatore e di ascensore sociale del percorso formativo, ma di incapacità di generare un sogno condiviso di un futuro insieme. Le nostre scuole rischiano di diventare il luogo in cui si sviluppano l’apatia e il disinteresse egoistico, in cui trovano spazio l’aggressività, la guerra tra poveri, in cui, in fondo, non si riesce a individuare un’alternativa ai problemi individuali, che trovano sfogo nella sopraffazione e nella violenza.

La domanda di fondo, quindi, è sintetizzabile nella possibile dicotomia tra una scuola che genera desiderio di stare insieme, di sviluppare legame sociale, per evitare il conflitto sociale, oppure una scuola che genera paura e violenza, che produce un modello sociale basato sul clan e sui gruppi chiusi.

In questo quadro, occorre sottolineare come in molti casi, in Italia, la risposta a questa dicotomia assuma caratteri confessionali: sono le scuole cattoliche che propongono un modello di uomo, di valori e di società basati sullo stare insieme e sul sogno condiviso.

«Nel linguaggio sociologico diciamo che la Scuola ha a che fare con il capitale sociale, cioè con le risorse relazionali della fiducia e della cura reciproca.

La Scuola può essere un modello positivo quando il ragazzo, specchiandosi in quello che la sua Scuola fa, si vede in proiezione come un adulto connesso e radicato, felice nella felicità degli altri. La Scuola può essere un modello negativo quando il ragazzo capisce da come viene trattato che dovrà attrezzarsi ad essere in futuro un creatura solitaria in perenne competizione, sempre intento a difendersi e contrattaccare. Vede un proprio futuro dove la sua felicità si realizzerà a danno di quella dei suoi attuali e provvisori amici.

Tocca alla Scuola decidere quale modello vuole proporre, se, dando esempio di cooperazione, vuole essere matrice di capitale sociale, o se, dando esempio di competizione e ostilità, vuole essere matrice del capitale e basta »

Fabio Folgheraiter, La scuola e il lavoro di rete.


  1. Alcune domande di attualizzazione per favorire la discussione.
  • Qual è la funzione pubblica della scuola?
  • La scuola riesce a far maturare negli studenti la voglia di essere sovrani della propria vita, in un contesto democratico?
  • La scuola è il luogo in cui coltivare i propri sogni e intraprendere la via per realizzarli?
  • La scuola riesce a generare capitale sociale? Riesce a consolidare il legame sociale?
  • La scuola riesce ad essere il luogo in cui si pongono le basi per una determinata idea di Nazione, di Italia?


  1. Alcuni brani e testi di riferimento.

D. Pennac, Diario di Scuola/1

Nessun avvenire. Bambini che non diventeranno. Bambini che fanno cadere le braccia. Alle elementari, alle media, poi al liceo, ci credevo anch’io, vero come l’oro, a questa esistenza senza avvenire.

E’ addirittura la primissima cosa di cui si convince il ragazzo che va male a scuola.

“Con dei voti del genere, cosa puoi sperare?”

“Credi di poter andare in prima media? (in seconda, in terza, in prima liceo…).

“Quante probabilità hai, secondo te, di essere promosso alla maturità, fammi un favore, calcola tu stesso le probabilità, su cento, quante?”

O quella del preside di scuola media, con un vero e proprio grido di gioia: “Tu, Pennacchioni (il Daniel Pennac autore del libro in questione, ndr), il diploma di terza media? Non l’avrai mai, capito, mai!”

In ogni caso non diventerò mai come te, vecchia pazza! Non sarò mai un prof, ragno invischiato nella stessa tela, aguzzino inchiodato alla cattedra fino alla fine dei suoi giorni. Mai! Noi studenti passiamo, voi invece restate! Noi siamo liberi e voi vi siete beccati l’ergastolo. A scuola noi andiamo male, ma almeno andiamo da qualche parte! L’aula scolastica non sarà mai il misero recinto della nostra vita!

Disprezzo per disprezzo, mi aggrappavo a questa pessima consolazione: noi passiamo, i prof restano; è una conversazione abituale tra quelli dell’ultimo banco. I somari si nutrono di parole.

Non sapevo, allora, che anche gli insegnanti ogni tanto la provano questa sensazione di carcere a vita: rifriggere all’infinito le stesse lezioni davanti a classi intercambiabili, essere oppressi dal quotidiano fardello dei compiti da correggere, ignoravo che la ripetitività è la prima ragione addotta dagli insegnanti quando decidono di lasciare il lavoro, non potevo immaginare che alcuni di loro proprio soffrono a rimanersene seduti lè, mentre gli studenti passano… Non sapevo che anche gli insegnanti ci pensano, al futuro: prendermi un dottorato, finire la tesi… (…) Non sapevo che la testa degli insegnanti è satura di avvenire. Credevo fossero lì solo per precludermi il mio. Divieto di avvenire. A forza di sentirmelo ripetere, mi ero fatto un’immagine piuttosto precisa di questa vita senza futuro. Non che il tempo avrebbe smesso di passare, non che il futuro non esistesse, no, ma io sarei stato identico a quello che ero oggi. Non lo stesso, certo, non come se il tempo non fosse fuggito via, ma come se gli anni si fossero accumulati senza che in me nulla fosse cambiato, come se il mio istante futuro minacciasse di essere rigorosamente identico al mio presente. E di che cosa era fatto il mio presente? Di una sensazione di inadeguatezza esasperata dalla somma dei miei istanti passati. Ero negato a scuola e non ero mai stato altro che questo. Il tempo sarebbe passato certo e poi la crescita, certo, e i casi della vita, certo, ma io avrei attraversato l’esistenza senza giungere ad alcun risultato. Era ben più di una certezza,ero io.”

Domande di discussione:

  • Credi che la scuola influenzi l’avvenire degli studenti?
  • In che modo la scuola aiuta la costruzione della propria immagine futura?
  • In che modo la scuola può demotivare?
  • Cosa pensi della tua scuola?
  • Credi che gli insegnanti debbano occuparsi del futuro degli studenti?
  • Credi che la scuola debba occuparsi del futuro degli studenti?

D. Pennac, Diario di Scuola/2

A tutti coloro che oggi imputano la formazione di bande al solo fenomeno delle banlieues, io dico: certo, avete ragione, la disoccupazione, certo, l’emarginazione, certo, i raggruppamenti etnici, certo, la dittatura delle marche, certo, la famiglia monoparentale, certo, lo sviluppo di un’economia parallela e di traffici di ogni genere, certo, certo… Ma guardiamoci bene dal sottovalutare l’unica cosa sulla quale possiamo agire personalmente e che risale alla notte dei tempi pedagogici: la solitudine e il senso di vergogna del ragazzo che non capisce, perso in un mondo in cui gli altri capiscono. Solo noi possiamo tirarlo fuori da quella prigione, formati o meno per farlo.
Gli insegnanti che mi hanno salvato e che hanno fatto di me un insegnante non erano formati per questo. Non si sono preoccupati delle origini della mia infermità scolastica. Non hanno perso tempo a cercarne le cause e tanto meno a farmi la predica. Erano adulti di fronte ad adolescenti in pericolo. Hanno capito che occorreva agire tempestivamente. Si sono buttati. Non ce l’hanno fatta. Si sono buttati di nuovo, giorno dopo giorno, ancora e ancora… Alla
fine mi hanno tirato fuori. E molti altri con me. Ci hanno letteralmente ripescati. Dobbiamo loro la vita.
I nostri studenti che “vanno male” (studenti ritenuti senza avvenire) non vengono mai soli a scuola. In classe entra una cipolla: svariati strati di magone, paura, preoccupazione, rancore, rabbia, desideri insoddisfatti, rinunce furibonde accumulati su un substrato di passato disonorevole, di presente minaccioso, di futuro precluso. Guardateli, ecco che arrivano, il corpo in divenire e la famiglia nello zaino. La lezione può cominciare solo dopo che hanno posato il fardello e pelato la cipolla. Diffìcile spiegarlo, ma spesso basta solo uno sguardo, una frase benevola, la parola di un adulto, fiduciosa, chiara ed equilibrata per dissolvere quei magoni, alleviare quegli animi, collocarli in un presente rigorosamente indicativo. […]
Se dovessi definire queste lezioni, direi che i miei presunti somari e io lottavamo contro il pensiero magico, quello che, come nelle fiabe, ci tiene prigionieri di un eterno presente. […] Nessuno è condannato a essere per sempre una nullità, come se avesse mangiato una mela avvelenata! Non siamo in una fiaba, vittime di un incantesimo!
Forse è questo insegnare: farla finita con il pensiero magico, fare in modo che a ogni lezione scocchi l’ora del risveglio.”

Domande di discussione:

  • Ti senti protagonista del tuo processo di apprendimento?
  • Partecipi attivamente alle lezioni?
  • Pensi che la scuola riesca a far emergere le potenzialità degli studenti?

SCUOLA DI BARBIANA, Lettera a una professoressa, a cura di L. Milani, Barbiana, Ed. Fiorentina, 1967

La nostra scuola La nostra è una scuola privata… D’inverno stiamo un po’ stretti, ma da aprile ad ottobre facciamo scuola all’aperto e allora il posto non ci manca… Soltanto nove hanno la famiglia nella parrocchia di Barbiana. Altri cinque vivono ospiti di famiglie di qui perché le loro case sono troppo lontane… Qualcuno viene da molto lontano, per esempio Luciano cammina nel bosco quasi due ore per venire e altrettanto per tornare. Il più piccolo di noi ha 11 anni il più grande 18… l’orario è dalle otto del mattino alle sette e mezzo di sera… Non facciamo mai ricreazione e mai nessun gioco… i giorni di scuola sono 365 all’anno, 366 negli anni bisestili… abbiamo ventitre maestri, escluso i sette più piccoli, tutti gli altri insegnano a quelli minori di loro…

Perché veniamo a scuola sul principio Prima di venirci né noi né i nostri genitori sapevamo cosa fosse la scuola di Barbiana. Quel che pensavamo noi non siamo venuti tutti per lo stesso motivo. Per noi barbianesi la cosa era semplice: La mattina andavamo alle elementari e la sera ci toccava andare nei campi. Invidiavamo i nostri fratelli più grandi che passavano la giornata a scuola dispensati da quasi tutti i lavori. Noi sempre soli, loro sempre in compagnia. A noi ragazzi ci piace fare quel che fanno gli altri. Se tutti sono a giocare, giocare, qui dove tutti sono a studiare, studiare. Per quelli delle altre parrocchie i motivi sono stati diversi: Cinque siamo venuti controvoglia (Arnaldo addirittura per castigo). All’estremo opposto due abbiamo dovuto convincere i nostri genitori che non volevano mandarci (eravamo rimasti disgustati dalle nostre scuole). La maggioranza invece siamo venuti d’accordo coi genitori. Cinque attratti da materie scolastiche insignificanti: lo sci o il nuoto oppure solo per imitare un amico che ci veniva. Gli altri otto perché eravamo davanti a una scelta obbligata: o scuola o lavoro. Abbiamo scelto la scuola per lavorare meno. Comunque nessuno aveva fatto il calcolo di prendere un diploma per guadagnare domani più soldi o fare meno fatica. Un pensiero simile non ci veniva spontaneo. Se in qualcuno c’era, era per influenza dei genitori…

Perché veniamo a scuola ora A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c’è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti giorni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili, per cui possiamo permetterci di passare quasi tutto l’anno senza pensarci. Però non li trascuriamo del tutto perché vogliamo contentare i nostri genitori con quel pezzo di carta che stimano tanto, altrimenti non ci manderebbero più a scuola. Comunque ci avanza una tale abbondanza di ore che possiamo utilizzarle per approfondire le materie del programma o per studiarne di nuove più appassionanti. Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé… Prima l’italiano perché sennò non si riesce a imparar nemmeno le lingue straniere. Poi più lingue possibile, perché al mondo non ci siamo soltanto noi. Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre.”

Danilo Dolci, Ciascuno cresce solo se sognato

C‘è chi insegna guidando gli altri come cavalli passo per passo:

forse c’è chi si sente soddisfatto così guidato.

C’è chi insegna lodando quanto trova di buono e divertendo:

c’è pure chi si sente soddisfatto essendo incoraggiato.

C’è pure chi educa, senza nascondere l’assurdo ch’è nel mondo,

aperto ad ogni sviluppo ma cercando d’essere franco all’altro come a sé,

sognando gli altri come ora non sono:

ciascuno cresce solo se sognato.


  1. Un’attività didattica da fare in classe.

1 La scuola

Ogni persona deve individuare 3 elementi che caratterizzano la sua esperienza scolastica: discussione, scrivendo su un cartellone i pensieri emersi.

A fronte di tutte le parole emerse, decidiamo di concentrarci su un tema: le relazioni all’interno della scuola.

  • Credi che le relazioni instaurate con i tuoi compagni ti abbiano aiutato?
  • Quali elementi positivi e quali negativi nella relazione? E in quelle con i professori?
  • Nella classe si è creato un “gruppo”?
  • Come sono state le relazioni interne alla classe, tra compagni? Quale rapporto si è creato tra la classe e i docenti?

Andando ancora più nello specifico delle relazioni: pensi che la scuola sia stata in grado di aiutarti in alcune categorie: Fiducia, Relazioni, Regole, Lavoro insieme.

Ad ogni partecipante verrà dato un foglio diviso in 4 parti, su cui scrivere, per ognuna delle 4 categorie, un’esperienza vissuta ad essa associata (che può farne emergere la presenza o l’assenza).

Discussione sulle esperienze riportate

2 Il Sogno

Ad ogni partecipante viene dato un foglietto su cui deve scrivere un Sogno per il suo futuro. I fogli sono anonimi.

Si raccolgono tutti i foglietti, e il conduttore legge senza commentare e senza chiedere l’autore.

Discussione:

  • Pensi che questi sogni si escludano l’uno con l’altro?
  • Qualcuno di questi sogni, ne impedisce altri?
  • È possibile immaginare la realizzazione di questi sogni INSIEME?
  • Per realizzare il mio sogno, sono disposto a infrangere sogni di altri? Esiste un’alternativa?

3 La scuola e i sogni:

  • Cosa centra la scuola con il mio sogno? Cosa deve fare la scuola perché io realizzi il mio sogno? La scuola MI sogna?
  • Pensi sia vero che «Ciascuno cresce solo se sognato.»? (Danilo Dolci)


  1. Alcuni film legati alla tematica.
  1. La scuola di Daniele Luchetti. Commedia, durata 105 min. – Italia 1995.

Ultimo giorno di scuola e tempo di scrutini nella 4ª classe di un istituto tecnico alla periferia di Roma con digressioni in flashback su una gita collettiva a Verona e altri momenti dell’anno scolastico. Da 3 libri (Ex cathedra, Fuori registro, Sottobanco) di Domenico Starnone; l’ultimo dei 3 adattato anche per il teatro (1992-93). La scuola raccontata dalla parte dei docenti con una tipologia che ne rappresenta efficacemente il ventaglio di ideologie e comportamenti.

  1. Auguri professore di Riccardo Milani. Commedia, durata 95 min. – Italia 1997.

Dal libro Solo se interrogati di Domenico Starnone che l’ha sceneggiato con il regista, S. Petraglia e S. Rulli. Come nel precedente film (1995) di D. Luchetti, la disastrata scuola italiana è raccontata con umorismo agrodolce intinto in uno sconsolato pessimismo su quello che non sa e non può dare e corretto da una benevolenza preoccupata per il mondo dei ragazzi.

  1. La classe – Entre les murs di Laurent Cantet. Drammatico, durata 128 min. – Francia 2008.

Racconta i difficili rapporti tra un prof. di francese e una classe 4ª (l’ultima) mista e plurietnica (francesi, nordafricani, europei dell’Est, cinesi), chiamati a parlare “la stessa lingua” con le sue insidie (in francese il computer si chiama “ordinateur”). Come nel libro, il titolo indica che nel sistema scolastico francese la scuola è uno spazio di segregazione, non di integrazione: le differenze linguistiche e culturali diventano diseguaglianze, si aggravano invece di essere superate.

  1. L’onda di Dennis Gansel. Drammatico, durata 101 min. – Germania 2008.

Rainer Wenger, insegnante di educazione fisica con un passato da anarchico rockettaro, per spiegare ai suoi studenti liceali il concetto di autocrazia li coinvolge in un esperimento di “regime dittatoriale” fra i banchi di scuola. Per una settimana dovranno rispondere al rigido sistema disciplinare di “Herr Wenger”, conformarsi ad un codice di abbigliamento e lavorare assieme in un’ottica di organismo gerarchico, isolando o reprimendo eventuali dissidenti. In pochissimo tempo, i ragazzi scoprono uno spirito di cameratismo vincente, dominano le proprie insicurezze e paure attorno alla figura del carismatico “cattivo maestro” e si sentono legittimati ad animare atti di violenza e vandalismo, in un’operazione che arriva presto a fuoriuscire dalle mura dell’edificio scolastico.

  1. L’attimo fuggente di Peter Weir. Titolo originale Dead Poets Society. Drammatico, durata 130 min. – USA 1989.

John Keating, giovane insegnante di letteratura inglese, arriva nel 1959 alla Welton Academy, di cui era stato allievo, dove regnano Onore, Disciplina, Tradizione e ne sconvolge l’ordine imbalsamato insegnando ai ragazzi, attraverso la poesia, la forza creativa della libertà e dell’anticonformismo.

  1. Caterina va in città di Paolo Virzì. Commedia drammatica, durata 90 min. – Italia 2003.

Caterina, tredicenne figlia di un professore di filosofia fallito e di una casalinga repressa, lascia la provincia con la famiglia e si trasferisce a Roma. Qui, si inserisce con disinvoltura nella vita cittadina, divisa fra l’amicizia con la figlia di un sottosegretario fascistoide e quella con la figlia di due “alternativi” sinistroidi.

  1. Elephant di Gus Van Sant. Drammatico, durata 81 min. – USA 2003.

Realizzato in 21 giorni con attori non professionisti, visualizza con lunghi piani sequenza, ripresi da punti di vista differenti, i percorsi e gli incontri di alcuni studenti all’interno di un liceo di Portland (Oregon). L’azione si svolge nell’arco di mezza giornata e si conclude con una strage compiuta da due adolescenti armati di fucili automatici. G. Van Sant non indaga né giudica, si limita a guardare e a mostrare, attraverso un pedinamento ostentato, l’atmosfera quotidiana di una giornata “straordinaria”, ripercorrendo le possibili tappe della tragedia di Columbine del 1999.

  1. Essere e avere di Nicolas Philibert. Titolo originale Être et avoir. Documentario, durata 104 min. – Francia 2002.

Francia, Auvergne, dipartimento di Puy Le Dome. La zona è talmente isolata che sopravvive l’istituzione della “classe unica”, dove si ritrovano bambini la cui età copre l’intero ciclo scolastico delle elementari. Un maestro prossimo alla pensione segue tutti i suoi alunni cercando di trasmettere, oltre a un po’ di sapere generale, anche qualche insegnamento etico e civico, dal rispetto reciproco all’inutilità della violenza. Nel frattempo la montagna segue, dall’inverno all’estate, i suoi ritmi.

  1. Io speriamo che me la cavo di Lina Wertmüller. Commedia, durata 102 min. – Italia 1992.

Dal best seller (1990) di Marcello D’Orta. Un maestro elementare è trasferito, per un errore del computer, dalla Liguria a un comune vicino a Napoli, dove gli viene assegnata una terza. Quando se ne andrà, avrà insegnato qualcosa, ma soprattutto qualcosa avrà imparato.


Video tratti da Why Democracy?

Sottotitoli a cura di Camera Distribuzioni Internazionali, disponibile su richiesta presso Acmos.

Please vote for me di Weijun Chen, Cina, 90′ circa.

Wuhan è una città della Cina centrale delle dimensioni di Londra, ed è qui che il regista Weijun Chen ha condotto un esperimento di democrazia. Una classe di terza elementare alle prese con il suo primo confronto con la democrazia: l’organizzazione delle elezioni per scegliere un rappresentante di classe. Bambini di otto anni, in concorrenza tra loro per la posizione ambita, incoraggiati e sollecitati da insegnanti e genitori amorevoli. Le elezioni in Cina avvengono solo all’interno del Partito Comunista, ma recentemente milioni di cinesi hanno potuto esercitare la pratica del voto attraverso la versione locale di Pop Idol, una trasmissione televisiva. Lo scopo dell’esperimento di Weijun Chen è quello di immaginare in che modo la democrazia potrebbe essere accolta in Cina. La democrazia è un valore universale che si adatta alla natura umana? Indire delle elezioni porta inevitabilmente alla manipolazione? Please Vote for Me è il ritratto di una società e una città attraverso una scuola, i suoi figli e le sue famiglie.


  1. Un’esperienza concreta da proporre alla classe.

Visita alla mostra FARE GLI ITALIANI

Una grande mostra che ripercorrerà la nostra storia dall’unità nazionale a oggi. La mostra analizzerà il processo attraverso il quale si sono “fatti gli Italiani”, evidenziando le occasioni di integrazione ma anche quelle di esclusione sociale, tappe fondamentali nel lungo e difficile percorso di acquisizione della cittadinanza. L’allestimento sarà spettacolare, ricco di multimedialità e di esperienze interattive.

Sede:
Officine Grandi Riparazioni, Torino

Periodo di apertura:
Marzo-novembre 2011

http://www.italia150.it/Esperienza-Italia/Mostre/Fare-gli-Italiani

Nell’ambito della mostra è prevista una sezione dedicata alla Scuola.

Galleria Fotografica
  • Giordano Bruno: in 4 AT si costruiscono italiani!!
  • 04112010416
  • Carmillo al Gramsci di Ivrea
  • Finalmente anche noi, V Grafici A dell’I.I.S, Bodoni – Paravia
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