Un progetto di

Partner

Partecipazione e Rappresentanze

SCHEDA DI LAVOROScarica PDF

La democrazia è partecipazione?


1. Introduzione generale al tema.

L’insieme di azioni e di comportamenti che mirano a influenzare in maniera più o meno diretta e più o meno legale le decisioni nonché la stessa selezione dei detentori del potere nel sistema politico o in singole organizzazioni politiche, nella prospettiva di conservare o modificare la struttura (e quindi i valori) del sistema di interessi dominanti secondo due direzioni: conservazione o mutamento.” (PASQUINO, 1997)

Per partecipazione si intende il coinvolgimento dell’individuo nel sistema politico, a vari livelli di attività, dal disinteresse totale alla titolarità di una carica politica.” (RUSH, 1992)

L’insieme di quei comportamenti dei cittadini, orientati ad influenzare il processo politico.” (AXFORD, 1997)

Forme di partecipazione

A partire dalla ricerca di Barnes & Kaase, 1979:

Inattivi: Al massimo si informano o firmano una petizione.

Conformisti: Possono impegnarsi in forme convenzionali di partecipazione.

Riformisti:Partecipano in modo convenzionale fino ad abbracciare alcune forme legali di protesta.

Attivisti: Ampliano al massimo il repertorio della partecipazione fino ad includere forme non legali di

protesta.

Protestatari: Adoperano tutte le forme non convenzionali ma rifiutano quelle convenzionali.

Le condizioni di fondo per la partecipazione sono: l’esistenza di un sistema politico di cui si è parte o di cui si aspira a far parte e l’esistenza di atteggiamenti o comportamenti concreti che tendono ad influenzare le decisioni di coloro che detengono il potere ed il loro reclutamento politico per conservare o modificare il sistema.

Tali fattori possono derivare dall’ambiente esterno, (ad esempio la presenza di stimoli politicamente rilevanti, il sistema sociale di appartenenza, le tradizioni culturali, il livello di modernizzazione), o da fattori personali. Per questi ultimi, si intendono particolari atteggiamenti e credenze dell’individuo (coinvolgimento psicologico, senso di obbligazione civica, identificazione

di partito o di gruppo) o fattori di personalità, quali socievolezza/estroversione, fiducia in sé stessi e

forza dell’Io, dominanza, manipolabilità ecc. Un’altra determinante della partecipazione è la

posizione sociale: status socioeconomico, livello di istruzione, età, genere, razza, residenza e così

via.

Ogni individuo viene a partecipare (…) con il coefficiente di differenziazione e diseguaglianza (…) che caratterizza la sua posizione nel sistema degli interessi privati” [Pizzorno 1966]

Partecipazione non convenzionale: un’azione di protesta, di sfida alle élites ed alle autorità pubbliche, di contestazione della struttura di interessi dominanti e del relativo sistema di valori, delle politiche formulate ed implementate (RANIOLO, 2002)

Partecipazione sociale

Dalla nascita alla morte, ogni essere umano è un partecipante, in modo tale che né egli, né qualsiasi cosa egli faccia o patisca può essere compreso senza considerare il fatto che egli partecipa ad un ampio insieme di transizioni: a queste egli può contribuire, modificare, ma soltanto grazie al fatto che è ad esse un partecipante.

La stessa partecipazione politica può essere più largamente intesa se riguardata nell’insieme dell’agire dei soggetti individuali e collettivi che, operando in vario modo nella “società civile”, vengono ad incidere anche sulle problematiche relative al clima politico della comunità organizzata: non solo a livello valorialeideologico ma anche a livello di scelte e decisioni più concrete.

Fonti:

Maurizio Cotta – Donatella Della Porta – Leonardo Morlino, Fondamenti di scienza politica, Il Mulino, Bologna, 2001

Gianfranco Pasquino, Nuovo corso di scienza politica, Il Mulino, Bologna, 1997

Donatella Della Porta, I partiti politici, Il Mulino, Bologna, 2001

Milbtrath L.W., Political Participation, Chicago, Rand McNally, 1965


2. Alcune questioni di attualizzazione per favorire la discussione.

  • Partecipare per cosa?
  1. “I have a dream”, discorso pronunciato da Martin Luther King a Washington, 28 agosto 1963

Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.

Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.

Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un “pagherò” del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo “pagherò” permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità.

E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo “pagherò” per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: “fondi insufficienti”. Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.

Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.

Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.

Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia.

Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste.

Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.

Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.

E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: “Quando vi riterrete soddisfatti?” Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:”Riservato ai bianchi”. Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.

Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice.

Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.

E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali. 

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.

 Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia. 

Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.

Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.

Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.

Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.

Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.

Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.

Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.

Ma non soltanto.

Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.

Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.

E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: “Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente”.

Per discutere:

  • Oggi il nostro Paese garantisce a tutti “ricchezze di libertà e garanzia di giustizia”?
  • Quali riflessioni ti suscita la lettura di questo discorso di M. L. King? Pensi che espressioni come “urgenza appassionata dell’adesso” nel bisogno di esigere giustizia abbiano ancora un valore di attualità?
  • Pensi che l’Italia abbia mantenuto le “promesse della democrazia” scritte nella Costituzione?
  • Esiste oggi un sogno condiviso di Italia?

Per Olson (1965), quando il prodotto della partecipazione è un bene collettivo indivisibile , ossia quando non è possibile escludere dalla fruizione di tale bene chi non ha partecipato, e nella misura in cui la partecipazione comporta dei costi, può essere razionale non partecipare dal momento che il più delle volte tale partecipazione non è decisiva per la produzione di tale bene.

  • In quest’ottica, la partecipazione al voto può essere razionalmente considerata non indispensabile? Cosa ne pensate?

Gustavo Zagrebelsky, Imparare democrazia, Einaudi, 2007, p.11.

(…) La democrazia sarebbe invece maestra di democrazia e non avrebbe bisogno di nessuno che ne alimenti lo spirito.

Questa fede era determinata dall’idea che esseri umani per lungo tempo esclusi dalla partecipazione alla vita politica, costretti a una visione dell’esistenza esclusivamente ripiegata su se stessa e limitata ai concreti e impellenti bisogni personali o familiari della vita quotidiana, come erano coloro che formavano le masse operaie e contadine otto-novecentesche, avrebbero tratto motivo di innalzamento civile dal coinvolgimento in procedure come quella elettorale (da qui la richiesta del suffragio universale). La partecipazione – oggi diremmo – a contesti comunicativi politici sarebbe stata di per sé idonea a promuovere il senso di responsabilità verso gli altri e capace di far loro altamente apprezzare l’importanza della dimensione democratica della loro esistenza. In breve: la credenza era che democrazia avrebbe per propria intrinseca virtù trasformato i sudditi in cittadini e così si sarebbe essa stessa immunizzata dai pericoli di involuzioni antidemocratiche. L’espressione corrente, la democrazia in pericolo si difende con più non con meno democrazia, è una delle convinzioni che derivano da quella premessa e da quella fede.

Ebbene, a distanza di qualche decennio dalla Costituzione e dall’instaurazione della democrazia nel nostro Paese, non tanto la diffusione dello spirito antidemocratico quanto l’indifferenza politica è stata denunciata da Norberto Bobbio (I futuro della democrazìa, Einaudi, Torino 1984, p. 8.) nell’ambito della trattazione delle cosiddette ‘promesse non mantenute della democrazia’ (…) come un fattore molto pesante che ne insidia il futuro: «Guardiamoci attorno, – dice Bobbio. – (…) si assiste impotenti al fenomeno dell’ apatia politica che coinvolge spesso la metà circa degli aventi diritto al voto. Dal punto di vista della cultura politica, costoro sono persone (…) semplicemente disinteressate per quello che avviene, come si dice in Italia, (…)”nel palazzo.

Per discutere:

  • In che senso l’ambiente esterno e la condizione socio-economica influenzano il livello di partecipazione? Siete d’accordo?
  • Secondo te, cosa potrebbe alimentare lo spirito della democrazia? Pensi che a tal riguardo siano utili le ore di educazione alla cittadinanza a scuola?
  • La democrazia ha bisogno di persone “responsabili”?

R. Browning, Uomini comuni. Polizia tedesca e “soluzione finale” in Polonia, Piccola Biblioteca Einaudi, 2004, p. 177 e p. 198.

Gli ordini ricevuti sono, naturalmente, la spiegazione più comunemente addotta dagli esecutori per giustificare il proprio comportamento. La cultura politica autoritaria della dittatura nazista ferocemente intollerante del dissenso, unita alla necessità di obbedienza agli ordini e alle impietose regole della disciplina, creavano una situazione in cui l’individuo non aveva scelta; gli ordini erano ordini, e nessuno in quel clima politico poteva arrischiarsi a disobbedirli: ciò avrebbe comportato la deportazione in campo di concentramento, quando non la morte immediata, magari per tutta la propria famiglia; gli esecutori si erano trovati in una situazione estremamente « coercitiva», e non potevano dunque essere considerati responsabili delle loro azioni. Questo è il ritornello ripetuto instancabilmente dagli imputati nei processi tedeschi del dopoguerra.

Ma una tale spiegazione presenta un problema generale: in più di quarantacinque anni di processi, nessun avvocato difensore o imputato ha potuto mai documentare un singolo caso in cui il rifiuto di obbedire all’ordine di uccidere un civile inerme sia stato inevitabilmente seguito dalla punizione capitale . La sanzione o il biasimo che talvolta colpivano il disubbidiente non erano comunque mai commisurati alla gravità dei crimini che gli si era ordinato di commettere.

Quali conclusioni dobbiamo dunque trarre? Le vicende del Battaglione 101 suscitano innanzitutto un grande disagio. La storia di questi uomini comuni non è la storia di tutti gli uomini: i riservisti affrontarono delle scelte, e gran parte di essi commisero orribili crimini. Ma coloro che uccisero non possono essere assolti sulla base dell’assunto che chiunque, in quella situazione, avrebbe fatto lo stesso: anche fra i poliziotti ci fu chi rifiutò di uccidere, e chi abbandonò i plotoni di esecuzione. la responsabilità umana è, in ultima analisi, una questione individuale.

Nel contempo, il comportamento collettivo del Battaglioni 101 ha implicanze assai allarmanti. Ci sono molte società afflitte da tradizioni di razzismo e ossessionate dalla mentalità o dalla minaccia di guerra; ovunque la società spinge gli individui a rispettare e a ossequiare l’autorità, ed è difficile che funzioni altrimenti; ovunque le persone aspirano a un avanzamento di carriera. In ogni società moderna, la complessità della vita, con la burocratizzazione e la specializzazione che ne conseguono, attenuano il senso di responsabilità personale di coloro che realizzano le direttive ufficiali. All’interno di ogni collettività sociale, il gruppo di riferimento esercita pressioni spaventose sul comportamento e stabilisce le norme morali. Se in circostanze analoghe gli uomini del 101 divennero assassini, quale gruppo umano può reputarsi immune da un tale rischio?”

Per discutere:

  • Chi sono oggi gli “uomini comuni”?
  • Pensi che il senso di di responsabilità personale sia importante per un regime democratico?
  • Cosa attenua oggi il senso di responsabilità personale?
  • A partire dalla classificazione di Barnes & Kaase delle forme di partecipazione, in quale categoria vi inserireste? E i vostri amici/compagni di classe/compagni di scuola?

Gustavo Zagrebelsky, Imparare democrazia, Einaudi, 2007, p.113.

Per il buon democratico, il regno della virtù (…) è la stessa democrazia che della virtù, intesa come amore della cosa pubblica, non può fare a meno ma nello stesso tempo la promuove, la alimenta e rafforza. Uno dei brani più esemplari a questo riguardo è quello che si trova nel capitolo sulla miglior forma di governo delle Considerazioni sulla democrazia rappresentativa di John Stuart Mill, là dove egli distingue i cittadini in attivi e passivi e precisa che in genere i governanti preferiscono i secondi perché è tanto più facile tenere in pugno sudditi docili o indifferenti, ma la democrazia ha bisogno dei primi. Se dovessero prevalere i cittadini passivi, egli conclude, i governanti farebbero ben volentieri dei loro sudditi un gregge di pecore volte unicamente a pascolare l’erba l’una accanto all’altra (e a non lamentarsi, questo l’aggiungo io, anche quando l’erba è scarsa)12. Ciò lo induceva a proporre l’allargamento del suffragio alle classi popolari in base all’argomento che uno dei rimedi alla tirannia della maggioranza sta proprio nel far partecipare alle elezioni, oltre le classi agiate che costituiscono sempre una minoranza della popolazione e tendono naturalmente a provvedere ai propri interessi esclusivi, anche le classi popolari. Diceva: la partecipazione al voto ha un grande valore educativo; è attraverso la discussione politica che l’operaio il cui lavoro è ripetitivo nell’orizzonte angusto della fabbrica, riesce a comprendere il rapporto tra eventi lontani e il suo personale interesse, e a stabilire rapporti con cittadini diversi da quelli con cui ha rapporti quotidiani e a diventare membro cosciente di una comunità”.

12 J. S. Mill, Considerations on Representative Government, in Collected Papers o/John StuartMill, University of Toronto Press, Routledge and Ke-gan Paul, voi. XIX, London 1977, p. 406.

Per discutere:

  • Chi o cosa ci vuole sudditi?
  • Cosa significa per te l’affermazione che “la partecipazione al voto ha un grande valore educativo”? La condividi?

Nel nostro paese aumenta sempre più il numero di persone appartenenti a culture, paesi ed etnie differenti. In considerazione del fatto che una delle condizioni di fondo per la partecipazione è l’esistenza di un sistema politico di cui si è parte o di cui si aspira a far parte, come si può sviluppare una politica di integrazione e di maggiore spinta alla partecipazione?

B. Brecht, L’esame per ottenere la cittadinanza o II giudice democratico in B. Brecht, Poesìe, II (1934-1956), Einaudi, Torino 2005, pp. 1062 sg

A Los Angeles davanti al giudice che esamina coloro che vogliono diventare cittadini degli Stati Uniti venne anche un oste italiano. Si era preparato seriamente ma a disagio per la sua ignoranza della nuova lingua durante l’esame della domanda: che cosa dice l’ottavo emendamento? Rispose esitando: 1492.

Poiché la legge prescrive al richiedente la conoscenza della lingua nazionale, fu respinto. Ritornato dopo tre mesi trascorsi in ulteriori studi ma ancora a disagio per l’ignoranza della nuova lingua, gli posero la domanda: chi fu il generale che vinse nella guerra civile? La sua risposta fu: 1492.

(Con voce alta e cordiale). Mandato via di nuovo e ritornato una terza volta, alla terza domanda: quanti anni dura in carica il presidente? Rispose di nuovo: 1492. Orbene il giudice, che aveva simpatia per l’uomo, capì che non poteva imparare la nuova lingua, si informò sul modo come viveva e venne a sapere: con un duro lavoro. E allora alla quarta seduta il giudice gli pose la domanda: quando fu scoperta l’America? E in base alla risposta esatta, 1492, l’uomo ottenne la cittadinanza.”

Per discutere:

  • Che cosa significa questo passo di Brecht?
  • Quali sono i significati profondi?
  • Cosa ne pensi?
  • Esiste un problema di partecipazione dei giovani, oggi, alla vita politica?

Roberto Cartocci, Diventare grandi in tempi di cinismo, Il Mulino, 2002, pp.18, 136, 137, 230 sg.

Una delle condizioni di una consapevole partecipazione dei cittadini alla vita della democrazia consiste, al di là della rimozione di impedimenti e disagi di ordine socioeconomico, nell’esistenza di un presupposto di ordine culturale: un atteggiamento di appartenenza e di identificazione con lo stato-comunità, inteso nei suoi emblemi canonici e nelle liturgie più solenni (inno, bandiera, feste nazionali), ma anche come «plebiscito quotidiano» (…), vale a dire come orizzonte della moralità di tutti i giorni, che governa i rapporti con gli altri e con le istituzioni al riparo di motivazioni strumentali e opportunistiche.

Per prendere a prestito la nota metafora di Bellah, la sfiducia nelle istituzioni democratiche assume tutti i tratti di un «basso continuo», di un bordone di fondo che disegna il deficit di legittimità delle istituzioni democratiche e pregiudica la nostra dotazione di capitale sociale. L’atteggiamento verso le istituzioni della democrazia non registra solo il più alto numero di giudizi negativi, ma è anche quello diffuso in modo più uniforme. Le classiche fratture Nord/Sud e laici/cattolici discriminano meno che sugli altri atteggiamenti. La polarità materialismo-postmaterialismo e il differente status delle famiglie non risultano connessi a differenze di orientamenti statisticamente significative. Come nel caso della sfiducia verso gli altri, la sfiducia verso le istituzioni della democrazia presenta le caratteristiche di un compatto modello culturale, che non mostra crepe di rilievo nelle diverse sezioni della società.

Abbiamo sottolineato più volte come questi orientamenti di chiusura verso gli altri e di sfiducia verso le istituzioni non costituiscano una novità nella nostra cultura politica. Il deficit di capitale sociale rilevato attraverso gli orientamenti dei nostri studenti diciannovenni si pone in una precisa linea di continuità con i dati di tutte le altre ricerche – relative agli adulti o ai giovani più genericamente considerati. Quindi la nostra indagine sui nati all’inizio degli anni ottanta non autorizza in alcun modo a identificare in questa leva i segni di una generazione politica particolare. I tratti della continuità con le generazioni precedenti sono evidenti; la giovane età degli intervistati peraltro fa sì che le loro risposte, rilevate alla vigilia dell’uscita dalla scuola, siano in buona misura l’effetto della socializzazione familiare, e quindi gettino luce sugli orientamenti dei loro genitori, oltre che sui loro.

È dunque anche la cultura politica dei genitori che traspare dalle risposte degli studenti. Il nostro indiscusso primato di diffidenza, che le indagini demoscopiche coparate documentano da decenni, oltretutto non può essere stato ridotto dalla stagione di Tangentopoli. I motivi della decapitazione della classe politica della Prima Repubblica non possono che avere accentuato quei tratti di cinismo e di distanza dalle istituzioni che costituiscono la «anomalia» della nostra cultura politica. Dal 1992 è risuonato spesso il leit-motiv della politica come cosa «sporca»; la legittimità della politica in quanto tale è stata radicalmente contestata, in un paese in cui non aveva peraltro mai goduto di grande credito e reputazione.

I nostri studenti hanno attraversato l’adolescenza in questo clima di sfiducia, se possibile più accentuata che in precedenza. Al momento di raggiungere, con la maggiori-età, la piena condizione di cittadini, essi si sono trovati nell pieno della contrapposizione bipolare tra Polo e Ulivo. È qui, casomai, che è possibile rinvenire una specificità generazionale, che unisce tutti i giovani nati nel 1980 e dintorni: aver raggiunto l’età del voto e delle scelte politiche nel momento in cui si consolida il nuovo bipolarismo. In questo sono differenti dai loro fratelli di pochi anni maggiori, che hanno votato per la prima volta al momento del crollo del vecchio sistema partitico, della nascita delle nuove formazioni e dell’esordio del nuovo sistema elettorale. (…)

Il quadro, tuttavia, non è del tutto chiuso entro l’orizzonte del cinismo. (…). Ma i dati mettono in luce anche altri elementi. In particolare nel quarto capitolo è emersa una contraddizione tra la diffidenza generalizzata nei confronti degli altri e l’aspirazione ad una socialità più aperta e responsabile. Da un lato si conviene che è molto meglio non dare fiducia agli altri, per timore di finire raggirati e danneggiati. Dall’altra parte gli studenti sono concordi nell’indicare senso di responsabilità verso gli altri, tolleranza e altruismo come il nucleo normativo di una pedagogia ideale. Il cinismo assume così i contorni di uno stato di necessità, in una società che gli studenti vorrebbero fondata su principi ben diversi da quelli che ritrovano nella loro esperienza di tutti giorni, e che i consigli dei genitori presumibilmente non mancano di incoraggiare. Cinici per necessità, ma consapevoli che la nostra incapacità di collaborare con gli altri è i nostro peggior difetto – l’aspetto di cui menar meno vanto come italiani.

Si può liquidare questa contraddizione tra il piano dell’essere e quello del dover essere come una manifestazione di ingenuità giovanile, destinata a farsi riassorbire dal procedere dell’età e dall’esperire durezze e difficoltà della vita. Ma vorrebbe dire che il nostro cinismo è un dato immutabile, quasi una condanna pronunciata dalla genetica. Per lasciare aperta la porta del cambiamento occorre considerare questa contraddizione come l’opportunità, intrinseca al meccanismo del ricambio generazionale, per innescare un processo virtuoso di creazione di capitale sociale. E’ chiaro che gli studenti, nel cercare punti fermi che permettano di orientarsi nel mondo, sono alla ricerca di segnali che indichino la possibilità di dar vita a rapporti sociali meno antagonistici e più solidali, o quantomeno più rispettosi degli altri. Si tratta di una precisa domanda politica, nel senso più alto e nobile del termine.

Per discutere:

  • Avverti come tuo questo senso di sfiducia nelle istituzioni democratiche? E nelle persone che ti circondano?
  • Rifletti sulla contraddizione di cui parla Carocci: cosa ne pensi?


3. Un’attività didattica da fare in classe.

Attività concreta: “La prima volta..sicuro, consapevole e libero”: un percorso divertente per scoprire – o riscoprire – l’importanza del voto come pratica di partecipazione alla vita pubblica.

Per attività didattiche si consiglia: Mantegazza Raffaele, Sana e robusta Costituzione. Percorsi educativi nella Costituzione italiana, La Meridiana, 2005


4. Film legati alla tematica

  1. L’onda di Dennis Gansel
  2. Drammatico, 101′ circa, Germania 2008.
  3. Rainer Wenger, insegnante di educazione fisica con un passato da anarchico rockettaro, per spiegare ai suoi studenti liceali il concetto di autocrazia li coinvolge in un esperimento di “regime dittatoriale” fra i banchi di scuola. Per una settimana dovranno rispondere al rigido sistema disciplinare di “Herr Wenger”, conformarsi ad un codice di abbigliamento e lavorare assieme in un’ottica di organismo gerarchico, isolando o reprimendo eventuali dissidenti. In pochissimo tempo, i ragazzi scoprono uno spirito di cameratismo vincente, dominano le proprie insicurezze e paure attorno alla figura del carismatico “cattivo maestro” e si sentono legittimati ad animare atti di violenza e vandalismo, in un’operazione che arriva presto a fuoriuscire dalle mura dell’edificio scolastico.
  4. La rosa bianca di Marc Rothemund
  5. Drammatico, 117′, Germania 2005
  6. Il 17 febbraio del 1943, quando il governo tedesco dichiarò caduta e perduta Stalingrado, un
  7. gruppo di studenti dell’università di Monaco si convinse che la fine della guerra fosse ormai
  8. prossima. Otto mesi di bombardamenti continuati e le numerose perdite di soldati sul fronte
  9. orientale accrebbero l’ottimismo e l’euforia del movimento di resistenza studentesco de La Rosa
  10. Bianca. I tempi e il popolo tedesco erano maturi per il loro sesto volantino rivoluzionario. Furono i
  11. fratelli Scholl, Hans e Sophie, a offrirsi volontari e a immolarsi, ignari, per la causa. Quella mattina
  12. di febbraio centinaia di volantini di denuncia contro i crimini nazisti vennero disseminati lungo i
  13. corridoi degli atenei. Un gesto azzardato che divenne il loro punto di non ritorno: sorpresi da un
  14. sorvegliante, furono interrogati dalla Gestapo, processati dalla Corte Popolare di Giustizia e
  15. condannati alla ghigliottina in soli cinque giorni.
  1. Election di Alexander Paine
  2. Commedia, 103′, Stati Uniti 1999
  3. Le elezioni per la presidenza del Comitato studentesco di una scuola superiore di provincia sono al centro di questa commedia satirica tratta da un romanzo di Tom Perrotta. È Jim McAllister (Matthew Broderick), il professore più popolare e rispettato della scuola a guidare i ragazzi. Egli, che ha avuto una vita triste e turbolenta, ha modo, durante le elezioni, di riscattarsi. Gli studenti, stimolati e incoraggiati dal professore, si rivelano ottimi politicanti. Ma, si sa, il mondo della politica è fatto anche di vendette, gelosie e sotterfugi. Nessuno di questi elementi manca in questa commedia pungente, in cui la scuola diventa il microcosmo delle ingiustizie nascoste sotto la patina dorata della vita americana. Meritatissimi i premi della critica che il film ha ricevuto.
  4. Fragole e sangue di Stuart Hagman
  5. Drammatico, 103′, Stati Uniti 1970
  6. L‘amore spinge giovane scettico e apolitico a impegnarsi attivamente nelle lotte studentesche alla Columbia University. Tratto da un romanzo di James Simon Kunen e sceneggiato da Israel Horowitz (che interpreta la parte del dottor Benton) è un film M-G-M sulla rivolta studentesca

Video tratti da Why Democracy?

Sottotitoli in italiano a cura del Goethe Institut Turin.

Coming of age (10′ circa) di Judy Kibinge
Questa storia di formazione raffigura le tre età e le fasi di democrazia viste attraverso gli occhi di una ragazza che cresce. L’era Kenyatta, un momento di grande ottimismo ed euforia post-indipendenza, riflette l’innocenza e l’ingenuità della giovane ragazza. Con l’ingresso del Kenya nella sua epoca successiva, sotto la dittatura di Daniel arap Moi, il buio di oppressione e di confusione si riflette nelle turbolenze adolescenziali; infine, nella terza fase, quella della democrazia kenyota sotto Mwai Kibaki, si chiede se la democrazia, con tutta la sua libertà di parola e di apertura abbia veramente raggiunto la maggiore età con la nuova promessa di una democrazia multipartitica.

Feminin – Masculin (10′ circa) di Sadaf Foroughi
Nel contesto della società iraniana dominata dagli uomini, Farahnaz Shiri, il primo pilota di autobus donna a Teheran, ha creato una società alternativa nel suo piccolo bus. In Iran ci sono diverse sezioni per uomini e donne sugli autobus pubblici. Le donne dovrebbero entrare in autobus dalla porta posteriore, separata dall’ingresso degli uomini, e dovrebbero sedersi in una zona limitata, al fondo. Ma sul bus della signora Shiri tutto è all’opposto: lei governa e legifera. Nel suo autobus, gli uomini devono entrare dall’ingresso posteriore e sedersi nella zona limitata. La signora Shiri per affermare se stessa, resistendo alle ingiustizie che si trova ad affrontare in quanto donna nella società iraniana.

Don’t shoot (10′ circa) di Lucilla Blankenberg
In Sud Africa tutto è cambiato, ma una cosa è rimasta la stessa – il conduttore del telegiornale della sera in Afrikaans. Cosa pensa ora, guardando indietro? Credeva e crede ancora nelle notizie che legge?

Riaan Cruywagen ha letto le notizie in televisione dal suo arrivo in Sud Africa nel 1976. Egli fa un vanto del soprannome di “Il volto delle notizie in Sud Africa” e del suo record di anzianità di servizio come lettore di notizie in Afrikaans in tutto il mondo. Nel contesto della spettacolare trasformazione del Sudafrica in una democrazia, Riaan spiega come la sua etica professionale gli abbia permesso di conservare il posto per tanto tempo.

Maria and Osmey (10′ circa) di Diego Arredondo

Questo cortometraggio racconta la storia di un gruppo di ragazzi cubani che si riuniscono per giocare una partita di baseball nel quartiere.
Osmey e Maria insieme ai loro amici costruiscono una palla da baseball da zero, usando un deodorante e qualche nastro. Carlos “il maggiore” arriva al parco con la sua palla e mazza professionali.
Prende la palla di Osmey e la lancia lontano; poi sceglie i compagni di squadra. Maria è lasciata fuori dalle regole di gioco imposte da Carlos. Durante l’incontro nascono diverse situazioni, che diventano conflitti che vengono risolti in modi che solo i bambini sono in grado di gestire. La palla di Carlos si rompe, Osmey trova una radio, Maria trova la palla casalinga costruita in precedenza: ora il potere è nelle sue mani, assieme all’unica palla disponibile. Mentre si prepara a battere, dalla radio a lato del campo si sente un grave annuncio ufficiale, l’annuncio che avrebbe bloccato qualsiasi cubano sul suo cammino. Ma i ragazzi non se ne rendono conto, e il gioco continua…

Miss democracy (10′ circa) di Virginia Romero
Un concorso di Miss democrazia giudicato da un filosofo greco, un famoso calciatore, un noto gigolò e una stilista delle celebrità. Cos’è la democrazia – bellezza, o denaro e potere?

Old Peter (10′ circa) di Ivan Golovnev

Il dialogo tra le persone, la natura e gli dei si basa su conoscenza sacra e mitologia. Nel mondo moderno sopravvivono solo alcune impostazioni culturali basate sul mito. Questo film ci porta dentro il mondo di Old Peter, l’ultimo sciamano del fiume Kazym superstite: la sua sopravvivenza nella taiga siberiana, la sua partecipazione al voto.
La regione del popolo Khanty è la fonte di base dell’estrazione petrolifera in Russia. Circa il 70 per cento del petrolio russo viene estratto qui; le compagnie petrolifere acquistano enormi territori nel nord della Siberia. I popoli indigeni sono costretti a lasciare questi luoghi, e così una civiltà moderna assorbe gradualmente una cultura antica.
Old Peter vota a ogni elezione, ma questo non ha contribuito a fermare la distruzione della sua cultura attraverso l’estrazione intensiva del petrolio per il consumo di massa.

Palagummi Sainath on Western democracy (10′ circa) di Deepa Bhatia
Palagummi Sainath (1957 -), il vincitore 2007 del Premio Ramon Magsaysay per il giornalismo, la letteratura, arti creative e di comunicazione, è un premiato giornalista indiano specializzato sullo sviluppo – un termine che evita, preferendo invece dichiararsi ‘reporter rurale’ – o semplicemente ‘reporter’ e fotoreporter; il suo lavoro si concentra su problemi sociali, affari rurali, povertà e conseguenze della globalizzazione in India. Negli ultimi 14 anni ha trascorso tra 270 e 300 giorni l’anno nella aree rurali interne (nel 2006, oltre 300 giorni). E’ Rural Affairs Editor di The Hindu, e contribuisce con le sue colonne alla redazione di India Together. Il suo lavoro vanta l’elogio del premio Nobel Amartya Sen che lo ha denominato “uno dei più grandi esperti al mondo su carestia e fame”.

We are watching you di Alan Hayling, Egitto, 90′ circa.

Sottotitoli in italiano a cura di Camera Distribuzioni Internazionali, disponibile su richiesta presso Acmos.

Nel 2005, durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione, il presidente statunitense J. W. Bush ha citato l’Egitto come Paese destinato a spianare la strada verso la democrazia in Medio Oriente.

Tre donne, incapaci di stare a guardare mentre il Paese è sull’orlo del cambiamento drastico, danno vita a un movimento popolare per educare e responsabilizzare l’opinione pubblica, sensibilizzando sul significato della democrazia. Il nome della loro campagna è Shayfeen.com – “Vi stiamo guardando.” Questo film segue gli alti e bassi del primo anno di vita del movimento egiziano. Insistendo sul fatto che solo le persone possono fare il cambiamento, il loro obiettivo è quello di educare il pubblico su ciò che occorre per costruire i pilastri fondamentali della democrazia: diritti umani, libertà di parola e magistratura indipendente. We are qatching you sottolinea l’importanza dei comuni cittadini che partecipano alla definizione della democrazia, assicurandone la salvaguardia.

Versione sottotitolata in italiano a cura di Camera Distribuzioni Internazionali, disponibile su richiesta presso Acmos.

Please vote for me di Weijun Chen, Cina, 90′ circa.

Sottotitoli in italiano a cura di Camera Distribuzioni Internazionali, disponibile su richiesta presso Acmos.

Wuhan è una città della Cina centrale delle dimensioni di Londra, ed è qui che il regista Weijun Chen ha condotto un esperimento di democrazia. Una classe di terza elementare alle prese con il suo primo confronto con la democrazia: l’organizzazione delle elezioni per scegliere un rappresentante di classe. Bambini di otto anni, in concorrenza tra loro per la posizione ambita, incoraggiati e sollecitati da insegnanti e genitori amorevoli. Le elezioni in Cina avvengono solo all’interno del Partito Comunista, ma recentemente milioni di cinesi hanno potuto esercitare la pratica del voto attraverso la versione locale di Pop Idol, una trasmissione televisiva. Lo scopo dell’esperimento di Weijun Chen è quello di immaginare in che modo la democrazia potrebbe essere accolta in Cina. La democrazia è un valore universale che si adatta alla natura umana? Indire delle elezioni porta inevitabilmente alla manipolazione? Please Vote for Me è il ritratto di una società e una città attraverso una scuola, i suoi figli e le sue famiglie.


  1. Un’esperienza concreta da proporre alla classe.

Visita alla mostra FARE GLI ITALIANI: Una grande mostra che ripercorrerà la nostra storia dall’unità nazionale a oggi. La mostra analizzerà il processo attraverso il quale si sono “fatti gli Italiani”, evidenziando le occasioni di integrazione ma anche quelle di esclusione sociale, tappe fondamentali nel lungo e difficile percorso di acquisizione della cittadinanza. L’allestimento sarà spettacolare, ricco di multimedialità e di esperienze interattive.

Sede:
Officine Grandi Riparazioni, Torino

Periodo di apertura:
Marzo-novembre 2011

http://www.italia150.it/Esperienza-Italia/Mostre/Fare-gli-Italiani

Galleria Fotografica
  • Le vele del Carmillo attirano l’attenzione dei ragazzi del Peano
  • Ma il Peano non si ferma qui: la 3A informatica dà filo da torcere!
  • Diego racconta di Biennale Democrazia al Peano
  • Anche ad Ivrea costruiamo un’Italia migliore!
Visita anche la galleria su Facebook
Galleria Video
Quanto manca?
Facebook