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Limiti ed errori della democrazia

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Quali sono i limiti della democrazia?

(consigliato per licei)


1. Introduzione generale al tema

Per affrontare il tema dei limiti ed errori della democrazia bisogna preventivamente indicare a quale nozione di democrazia si fa riferimento: limiti ed errori cambiano a seconda dell’accezione che del termine democrazia si assume.

Si può dare per scontato (oppure no) che si sta parlando di democrazia rappresentativa e non diretta; già meno scontato è la distinzione tra una concezione procedurale ed una sostantiva, etica di democrazia. Nel primo caso la democrazia è innanzitutto un insieme di regole che servono per prendere decisioni collettive; nel secondo è affermazione di principi quali uguaglianza, non violenza, libertà personali.

Per una prima rapida introduzione a cosa si intende con democrazia si possono vedere le dieci pagine di N.Bobbio, Democrazia in G.Zaccaria (a cura di), Lessico della politica, Edizioni Lavoro 1987, pp.160-170, ora ripubblicate in N.Bobbio, Elementi di politica, Einaudi Scuola, pp. 84-100.


2. Alcune domande di attualizzazione per favorire la discussione

Si può partire da alcune questioni generali sulla natura della democrazia:

1) La democrazia è adatta a qualunque paese o civiltà?

2) Quale spazio concedere, in democrazia, ai nemici della democrazia?

(problema connesso: La democrazia ha una natura relativistica o assolutistica?)

Testi: G.Zagrebelsky, Imparare democrazia, Einaudi 2005, pp.15-18

Si può partire da questioni specifiche relative ai limiti della democrazia:

1) Le oligarchie non sono state sconfitte.

La democrazia rappresentativa, distinguendo tra governati e governanti, ratifica l’esistenza di élites.

Le élites tendono all’autoreferenzialità (il tema della “casta”).

I governanti, preoccupati innanzitutto di essere rieletti, fanno scelte di breve respiro e non

affrontano i nodi importanti che richiederebbero impegni di lunga durata con effetti non immediati.

Testi: N.Bobbio, Il futuro della democrazia (cap.6 “Persistenza delle oligarchie”) in id., Il futuro della democrazia, Einaudi 1984

2) La rappresentanza degli interessi ha prevalso sulla rappresentanza politica.

Il rappresentante non è inteso come colui che persegue gli interessi della nazione ma come colui che persegue gli interessi particolari dei suoi rappresentati.

Testi: N.Bobbio, Il futuro della democrazia (cap.5 “Rivincita degli interessi”) in id., Il futuro della democrazia, Einaudi 1984

3) Il potere invisibile non è stato eliminato.

Mafia, camorra, servizi segreti deviati costituiscono uno Stato invisibile che opera accanto allo Stato visibile.

Testi: N.Bobbio, Il futuro della democrazia (cap.8 “Il potere invisibile”) in id., Il futuro della democrazia, Einaudi 1984

4) La democrazia politica non è divenuta democrazia sociale.

Istituzioni che si basano su di un potere discendente, quali l’impresa, gli apparati amministrativi ecc., non hanno conosciuto un processo di democratizzazione.

Testi: N.Bobbio, Il futuro della democrazia (cap.7 “Lo spazio limitato”) in id., Il futuro della democrazia, Einaudi 1984

5) E’ mancata una educazione alla cittadinanza democratica.

Testi: N.Bobbio, Il futuro della democrazia (cap.9 “Il cittadino non educato”) in id., Il futuro della democrazia, Einaudi 1984

G.Zagrebelsky, Imparare democrazia, Einaudi 2005, pp.6-14


  1. Alcuni brani e testi di riferimento.

Norberto Bobbio, tratto dall’intervista “Che cos’è la democrazia?” – Torino, Fondazione Einaudi, giovedì 28 febbraio 1985

DOMANDA: Professor Bobbio, se la democrazia fosse tanto inflazionata nella realtà così come lo è come concetto, probabilmente vivremmo in un mondo di uguaglianza universale; ma invece non è così. Si parla indistintamente di democrazia a proposito dell’Atene di Pericle e dei Soviet di Lenin; c’è la democrazia liberale, quella socialista, c’è la democrazia cristiana. Possiamo tentare di dare una definizione minima, ma precisa, di questo termine?

BOBBIO: Io ritengo che non sia soltanto possibile dare una definizione minima della democrazia, ma che sia necessario. Se vogliamo metterci d’accordo, quando parliamo di democrazia, dobbiamo intenderla in un certo modo limitato, cioè attribuendo al concetto di democrazia alcuni caratteri specifici sui quali possiamo esser tutti d’accordo. Io ritengo che per dare una definizione minima di democrazia bisogna dare una definizione puramente e semplicemente procedurale: vale a dire definire la democrazia come un metodo per prendere decisioni collettive. Si chiama gruppo democratico quel gruppo in cui valgono almeno queste due regole per prendere decisioni collettive: 1) tutti partecipano alla decisione direttamente o indirettamente; 2) la decisione viene presa dopo una libera discussione a maggioranza. Queste sono le due regole in base alle quali a me pare che si possa parlare di democrazia nel senso minimo e ci si possa mettere facilmente d’accordo per dire dove c’è democrazia e dove democrazia non c’è.

DOMANDA: Quindi si può parlare di democrazia, sia che si tratti di decidere in un condominio sia che si tratti di decidere una legge dello Stato?

BOBBIO: Ha detto benissimo: un’associazione, una qualsiasi associazione. Qualsiasi associazione generalmente stabilisce quali sono le regole in base alle quali si prendono le decisioni che poi valgono. Anche se le decisioni vengono prese da pochi, da alcuni, anche da uno solo, l’importante è che quella decisione venga presa in base a quelle regole.

DOMANDA: Quando Lei dice queste cose mi viene in mente che effettivamente nel mondo esistono alcuni – forse neanche troppi – Stati democratici: ma all’interno di questi Stati democratici – penso a tutti gli apparati della produzione, gli apparati dei servizi, a molte delle istituzioni, dalle scuole alle caserme, ecc. – io non ci ritrovo molte delle due regole.

BOBBIO: Lei effettivamente ha ragione: qui stiamo parlando di democrazia politica. Difatti io ho considerato come una delle promesse non mantenute della democrazia proprio il fatto che la democrazia politica non si è estesa alla società e non si è trasformata in democrazia sociale. A rigore una società democratica dovrebbe essere democratica – cioè dovrebbe avere queste regole – nella maggior parte dei centri di potere. Questo in realtà nella maggior parte delle democrazie non è avvenuto. Qual è poi il centro di potere in cui dovrebbe avvenire quest’estensione delle regole democratiche? E’ la fabbrica. All’interno della fabbrica non esiste un regime democratico: le decisioni vengono prese da una parte sola, dall’altra parte c’è la possibilità di un certo controllo delle decisioni, ma le decisioni non vengono prese, da tutte, da tutte le parti che sono in gioco in quel in quel centro di potere.

DOMANDA: Quindi Lei pensa che sia auspicabile questa autodeterminazione della propria vita produttiva?

BOBBIO: Io credo che questo sia l’ideale limite della democrazia.

Platone, Opere, vol. II, Laterza, Bari, 1967, pagg. 382–390: La democrazia (Repubblica, 555 b-557 c, 558 c-559 d). L’ottavo libro della Repubblica prende in esame le diverse forme di potere politico esistenti e le cause della loro degenerazione. Proponiamo la lettura delle pagine dedicate alla democrazia. L’interlocutore di Socrate è Adimanto.

2 – Ebbene, disse, in che modo si amministrano questi uomini? E poi, quale è il carattere di una simile costituzione? Un tale uomo, è chiaro, si manifesterà un democratico.– Ora, in primo luogo, non sono liberi? e lo stato non diventa libero e non vi regna libertà di parola? e non v’è licenza di fare ciò che si vuole? – Sí, rispose, almeno lo si dice. – Ma dove c’è questa licenza, è chiaro che ciascuno può organizzarvisi un suo particolare modo di vita, quello che a ciascuno piú piace. – È chiaro. – È soprattutto in [c] questa costituzione, a mio avviso, che si troveranno uomini d’ogni specie. – E come no? – Forse, ripresi, tra le varie costituzioni questa è la piú bella. Come un variopinto mantello ricamato a fiori di ogni sorta, cosí anche questa, che è un vero mosaico di caratteri, potrà apparire bellissima. E bellissima, continuai, saranno forse molti a giudicarla, simili ai bambini e alle donne che contemplano gli oggetti di vario colore. – Certamente, [d] ammise. –

3 […]Considera ora, feci io, quale è, individualmente, l’uomo democratico. Non dobbiamo anzitutto esaminare, come abbiamo fatto per la costituzione, in che modo si forma? – Sí, disse. – Non forse cosí? Quell’individuo parsimonioso e oligarchico avrà bene, credo, un [d] figlio allevato dal padre nei suoi propri sentimenti morali, no? – Certamente. – Anch’egli, dunque, governerà con la forza i piaceri che insorgono in lui, tutti quelli che comportano spese senza procurare beneficio finanziario, e che sono detti superflui. – È chiaro, rispose. – Ebbene, ripresi, per evitare una discussione oscura, vuoi che definiamo prima gli appetiti necessari e i superflui? – Voglio, sí, disse. – Non sarà giusto chiamare necessari quelli che non riusciamo a stornare via [e] e tutti quelli che, se soddisfatti, ci danno dell’utile? Perché la nostra natura è forzata a sentire tutte due queste specie di appetiti. No? – Certamente. – Sarà giusto [559 a] che li qualifichiamo “necessari”. – Giusto. – E quelli di cui ci si potrebbe liberare se ci si stesse attenti fin da giovani, e che con la loro presenza non danno luogo a bene alcuno, e taluni anzi a un male? Se li dicessimo tutti superflui, non avremmo ragione? – Ragione. – Vogliamo ora scegliere un esempio da ambedue le categorie, per farcene un concetto generale? – Dobbiamo, sí. – Ebbene, il desiderio di mangiare fino al punto di conservare salute e di sentirsi bene, limitatamente a pane e [b] companatico, non sarà un appetito necessario? – Credo di sí. – La voglia del pane, ad ogni modo, è necessaria per due ragioni: è utile ed è condizione indispensabile di vita. – Sí. – E necessaria è quella del companatico, se giova a sentirsi bene. – Senza dubbio. E l’appetito che non si limita a pane e companatico e che comprende anche cibi diversi da questi, e che, se frenato ed educato fin da giovani, può essere allontanato dalla maggior parte della gente? quell’appetito che, come nuoce al corpo, cosí nuoce all’anima tanto per l’intelligenza quanto [c] per la temperanza? Non è giusto dirlo superfluo? – Giustissimo. – Possiamo dunque affermare che gli appetiti superflui fanno spendere e i necessari danno profitto, perché ci giovano nel nostro operare? – Certamente. – Diremo lo stesso per quelli d’amore e per gli altri? – Lo stesso. – E con colui che or ora chiamavamo fuco, non intendevamo dire chi raccoglie in sé un mucchio di simili piaceri e appetiti ed è governato dai superflui? e con parsimonioso e oligarchico chi è governato [d] dai necessari? – Sicuramente.

Franco Cardini, La democrazia e i suoi nemici.

Intervento durante Biennale Democrazia 2009

Per individuare i nemici della democrazia, è preliminarmente necessario interrogarsi sull’oggetto del nostro discorso – la “parola” e il suo significato: la “cosa” da tale parola designata – e procedere quindi a un’identificazione tipologica e fenomenologica dei suoi nemici.

“Uno dei retaggi più disgustosi della propaganda profusa al tempo della guerra fredda è il ‘fondamentalismo democratico’. L’espressione, non felicissima ma sostanzialmente chiara, è di García Marquez. Indica l’arrogante uso di una parola (‘democrazia’) che nel suo attuale esito racchiude e copre il contrario di ciò che etimologicamente esprime; e, insieme, l’intolleranza verso ogni altra forma di organizzazione politica che non sia il parlamentarismo, la compravendita del voto, il ‘mercato’ politico1”.

E’ quindi anzitutto evidente che, per uscire dal cerchio incantato d’una parola usata correntemente come un assoluto ma la cui utilizzazione spesso demagogica e strumentale ha comportato una serie infinita di abusi, di equivoci e di strumentalizzazioni, ci si deve anzitutto intendere sui suoi significati. Al riguardo, risulta in prima istanza ovvio che il “nudo” sostantivo non significa ormai ai nostri giorni più nulla e che il servirsene è divenuto una sorta di mantra autoapologetico o ricattatorio. Secondo un assunto in pieno Ottocento legittimato da John Stuart Mill e poi passato nel nòvero delle idées reçues, il modello di democrazia da cui ha origine una teoria e una prassi fondamentale in quel che si usa definire “il nostro Occidente” è la democrazia diretta ateniese. D’altronde, era lo stesso Stuart Mill a rilevare come il governo-modello ateniese (che molti ateniesi, a cominciar a quel che pare da Socrate e da Platone, erano viceversa ben lontani dal ritenere tale) sia realizzabile solo nelle piccole comunità: appena una comunità diviene più vasta e le sue funzioni si presentano come più complesse, l’unico esercizio del potere che consenta a tutti di esprimersi – ma evidentemente non allo stesso livello – è quello della rappresentatività: il che include una selezione di quelle élites di cittadini eletti che in una misura numerica proporzionalmente commisurata al numero globale dei cittadini e per una durata da stabilirsi dovranno interpretare la volontà degli elettori, evidentemente sulla base di un accordo precedentemente stipulato e dell’elaborazione di sistemi istituzionali che permetteranno il controllo periodico, da parte degli elettori, dell’operato degli eletti. E’ nota la critica marxiana alla “democrazia rappresentativa” così teorizzata, e che del resto era già stata oggetto della diffidenza di Alexis de Tocqueville il quale, vedendo com’essa funzionava nella giovane democrazia statunitense, aveva segnalato come essa potesse degenerare nell’instaurazione di un particolare tipo di “tirannia”, quella della maggioranza parlamentare.

Già questo aspetto della critica tocquevilliana ci mette sull’avviso: mentre, ancor oggi sul piano delle idées reçues più ostinate e acritiche, “democrazia” e “tirannia” sono due opposti assoluti , il Tocqueville ci mette sull’avviso aiutandoci a comprendere qualcosa che in realtà abbiamo visto più volte verificarsi nella storia contemporanea: come cioè, nella pratica, tra “democrazia” e “tirannia” (o “dittatura”: e non staremo qui a esaminare i rapporti fra questi due ultimi termini, che sono grossolanamente avvertiti come sinonimi, salvo forse che il primo è usato come peggiorativo del secondo), possano esistere varie forme di continuità o di passaggi articolati. Sappiamo che Karl Marx è andato ben oltre nella critica alla visione stuartmillista, rilevandone il carattere esclusivamente e meccanicisticamente politico e sottolineando come nella realtà delle cose, dal momento che la politica è intrinsecamente connessa con la struttura sociale rispetto alla quale rappresenta già una forma sovrastrutturale, solo all’atto dell’espressione del suo suffragio elettorale, cioè del voto, l’elettore è per un istante uguale a tutti gli altri: ma immediatamente dopo viene espropriato del suo potere, che votando ha delegato a un eletto, e la disuguaglianza appunto delle strutture sociali riprende il sopravvento. Risultato di ciò è che gli eletti raramente hanno l’intenzione, e mai l’obiettiva possibilità di resistere agli effettivi “poteri forti” che detengono le leve dell’economia e delle finanze: e i governi espressi attraverso i meccanismi di selezione democratico-rappresentativi, i quali gestiscono e modellano le istituzioni statuali, altro non possono essere se non dei “comitati d’affari” di chi detiene il potere reale.

Marx riteneva che quest’ultimo autentico soggetto decisionale fosse, nel suo complesso, il capitalismo delle grandi lobbies altoborghesi: il che non era del tutto vero ai suoi tempi, in pieno Ottocento, allorché le istituzioni e le tradizioni imponevano l’esercizio di ampia parte del potere effettivo anche attraverso i meccanismi delle dinastie sovrane e aristocratiche e delle élites privilegiate ecclesiali, militari, istituzionali (i grands e petits commis d’état) eredi di un ancien régime al quale la Restaurazione aveva restituito almeno in parte, e magari su nuove basi, un certo Nachleben e che non si movevano sempre e del tutto sulla base degli interessi economici e delle logiche del profitto – pur non essendo ovviamente estranei né a quelli, né a queste -; ma è divenuto molto più vero oggi, anche visto il nodo inestricabile che è venuto a formarsi, nel “nostro Occidente”, tra meccanismi di selezione delle élites politiche e parlamentari, interessi economici e finanziari e sistemi di “organizzazione del consenso” gestiti attraverso i mass media e il loro controllo qualitativo e quantitativo delle informazioni che contribuiscono a indirizzare l’opinione pubblica.

Ma il punto è proprio questo: se la selezione degli eletti da parte degli elettori avviene sulla base del patrimonio di cognizioni da questi ultimi possedute a proposito della realtà che si vuole governare, al di là del rischio “a valle” delle competizioni elettorali costituito da una “tirannia parlamentare” di tocquevilliana memoria che d’altro canto è tale solo in apparenza in quanto è in realtà tirannia di chi riesce a gestire il “mercato” della selezione dei candidati a essere eletti e a controllarne le scelte una volta ch’essi siano divenuti tali, esiste il rischio “a monte” d’un opinione pubblica, espressione del “popolo sovrano” chiamato a scegliere chi eserciterà per delega il suo potere ma inadatta e incapace a farlo efficacemente e correttamente per deficienza qualitativa e quantitativa d’informazione e per carenza d’un impegno morale e politico che valga a imporre un miglioramento di esse. Il nucleo profondo di quel che rende valida e funzionale o no una democrazia sta tutto quindi, in ultima analisi, nell’autocoscienza della società che la esprime: i due parametri da tener costantemente presenti sono la volontà di capire quel che sta accadendo per poter scegliere le tattiche e le strategie adatte a fornire risposte adeguate e la qualità/quantità d’informazioni necessarie alla formazione di un maturo e adeguato esercizio del potere. I primi nemici della democrazia sono l’apatìa, il disinteresse e la disinformazione (volontaria o indotta che sia): essi fanno perdere ai detentori legittimi del potere, il popolo sovrano, la consapevolezza di essere soggetti politici, creano la diffusa e implicita coscienza di un’egemonia dei “governanti” (cioè di chi esercita il potere delegato) sui “governati” e degrada fatalmente questi ultimi, nella sostanza se non nelle forme istituzionali, dal rango di cittadini al ruolo di sudditi.

Ecco perché è in primissima istanza indispensabile non farsi irretire dalla magia delle parole. Che l’antico termine greco non sia più sufficiente ad esprimere nulla di concreto è chiaro da molti decenni. E fin dall’Ottocento, e con maggior intensità negli ultimi tempi, si è difatti parlato di forme diverse di democrazia: “parlamentare”, “popolare”, addirittura “autoritarie” nonostante quello che ci appare come un ossimoro; ancora “rappresentativa”, “costituzionale”, “assembleare”, “referendaria”, “deliberativa”, sino a quella postmoderna di democrazia “telematica” fondata sul controllo continuo del parere generale o maggioritario attraverso “sondaggi” che, utilizzando di solito il metodo del “campione”, dovrebbe servire a informare i cittadini delle tendenze del momento con l’implicita intenzione d’incoraggiarli ad adeguarsi a una volontà “maggioritaria” intesa come sinonimo di “generale”.

Ma allora chiediamoci, in concreto e in sostanza: che cosa può voler dire, oggi, democrazia tout court, come traguardo da proporre a una società civile nel suo complesso e come risultato da conseguire, al di là di metodi e di sistemi atti a conseguirlo. Bastano le “regole”? Evidentemente no: esse sono necessarie a sventare o quanto meno a limitare le frodi, gli abusi, i colpi di mano. Ma, parafrasando quel che

Gesù diceva a proposito del sabato ebraico, dovremmo replicare che il

cittadino non è fatto per le regole, ma le regole sono fatte per il cittadino. L’illusione della salvaguardia della democrazia attraverso le leggi e i sempre più sofisticati (e meno comprensibili) sistemi di selezione delle élites chiamate a gestire il potere delegato si scontra con una realtà fenomenologica che ben conosciamo e che si esprime nel vecchio trito proverbio popolare “fatta la legge, trovato l’inganno”. Le regole sono necessarie ma non sufficienti: al limite, come avrebbe detto san Tommaso d’Aquino, esse servono a obbligare i cittadini a rispettare i diritti civili e quindi a dirigerli verso il bonum commune in attesa che la volontà di conseguire tale bonum divenga un habitus: la democrazia non esiste in natura, è frutto di una convenzione. Solo il rispetto di essa scaturito da un’autentica e condivisa convinzione può far sì che essa sentita come “naturale” in chi ne è soggetto e fruitore. Tommaso d’Aquino diceva che la virtus è habitus: la posta in gioco nella società civile italiana di oggi è far divenire la democrazia habitus comunitario: un traguardo duro, ma non inconseguibile.

Ecco perché i veri nemici della democrazia non sono i filosofi e i pensatori che, negli ultimi due secoli circa, si sono più volte affannati a rielaborare la vecchia critica platonica ad essa come governo “dei più” e quindi fatalmente “dei peggiori”; non sono i politici e gli avventurieri che l’hanno screditata instillando nelle folle e nelle masse la diffidenza e/o il disprezzo nei confronti delle elezioni ritenute “ludi cartacei”; non sono i fautori delle “tirannie” (che sovente anzi si sono presentati nella storia come sostenitori di forme più avanzate e totalizzanti – magari “totalitarie” – forme di democrazia) o dei vari “fondamentalismi” oggi più o meno di moda (abbiamo del resto visto che, secondo García Marquez, esiste anche un fondamentalismo democratico). Nemici della democrazia non sono nemmeno – o comunque non sono i più pericolosi – quelli che pretendono di “esportarla” intendendo con ciò imporne le forme attuali e occidentali a popoli i quali hanno una storia diversa dalla nostra e magari patrimoni sostanzialmente democratici non meno rispettabili del nostro)2.

Democrazia è oggi, nella sostanza del nostro sentire magari implicito e profondo, l’equilibrio – fragile, labile, difficile, delicatissimo – tra i due valori cari al trinomio rivoluzionario francese di Libertà e di Uguaglianza. Eppure noi sentiamo che senza lo spirito che li anima e che ne è presupposto, la Fratellanza comunque intesa (quindi, se vogliamo indicarla con una parola forse meno retorica, la Solidarietà), questi due valori non possono procedere di pari passo in quanto sono, concettualmente parlando, non già complementari bensì diversi e divergenti (e al limite opposti). Una compiuta democrazia dovrebbe renderli complementari.

Nella concreta realtà politica italiana, da tutto ciò siamo ancora molto lontani. I nostri problemi vertono anzitutto sul crescente monopolio mediatico detenuto dal presidente del consiglio (al di là delle boutades sulla “dittatura del berluskariato” e su “Berluscon de’ Berlusconi”)3, quindi sull’inquietante e in parte inedita situazione di una classe politica semiafasica (la destra in quanto tutta allineata e coperta dietro al leader-imprenditore, la sinistra incapace di una reazione inadeguata alla sua stessa débacle elettorale), infine sul sostanziale disinteresse che la società civile nel suo complesso dimostra nei confronti della vita pubblica, col preoccupante corollario della totale assenza ad esempio dei temi di politica estera.

Infine, non si può sottovalutare il fatto che oggi nessuna democrazia può sfuggire al confronto con il “processo di globalizzazione” e con il grande tema della governante democratica, rispetto alla quale i modelli fin qui proposti non sono soddisfacenti4.

La democrazia di Gaber – Luporini

1996 © P. A. MONOLOGO

Dopo anni di riflessione sulle molteplici possibilità che ha uno Stato di organizzarsi sono arrivato alla conclusione che la democrazia è il sistema più democratico che ci sia.

Dunque, c’è la democrazia, la dittatura… e basta. Solo due. Credevo di più.

La dittatura in Italia c’è stata e chi l’ha vista sa cos’è, gli altri si devono accontentare di aver visto solo la democrazia.

Io, da quando mi ricordo, sono sempre stato democratico, non per scelta, per nascita. Come uno che quando nasce è cattolico, apostolico, romano. Cattolico pazienza, apostolico non so cosa vuol dire, ma romano io?!…

D’altronde, diciamolo, come si fa oggi a non essere democratici? Sul vocabolario c’è scritto che “democrazia” significa “potere al popolo”. Sì, ma in che senso potere al popolo? Come si fa? Questo sul vocabolario non c’è scritto.

Però si sa che dal 1945, dopo il famoso ventennio, il popolo italiano ha acquistato finalmente il diritto al voto. È nata così la “Democrazia rappresentativa” che dopo alcune geniali modifiche fa sì che tu deleghi un partito che sceglie una coalizione che sceglie un candidato che tu non sai chi è, e che tu deleghi a rappresentarti per cinque anni, e che se lo incontri ti dice giustamente: “Lei non sa chi sono io!”. Questo è il potere del popolo.

Ma non è solo questo. Ci sono delle forme ancora più partecipative. Il referendum, per esempio, è una pratica di “Democrazia diretta”… non tanto pratica, attraverso la quale tutti possono esprimere il loro parere su tutto. Solo che se mia nonna deve decidere sulla Variante di Valico Barberino-Roncobilaccio, ha effettivamente qualche difficoltà. Anche perché è di Venezia. Per fortuna deve dire solo “Sì” se vuol dire no, e “No” se vuol dire sì. In ogni caso ha il 50% di probabilità di azzeccarla. Ma il referendum ha più che altro un valore folkloristico perché dopo aver discusso a lungo sul significato politico dei risultati… tutto resta come prima e chi se ne frega.

Un’altra caratteristica fondamentale della democrazia è che si basa sul gioco delle maggioranze e delle minoranze. Se dalle urne viene fuori il 51 vinci, se viene fuori il 49 perdi.

Dipende tutto dai numeri. Come il gioco del Lotto.

Con la differenza che al gioco del Lotto, il popolo qualche volta vince, in democrazia… mai!

E se viene fuori il 50 e 50? Ecco, questa è una particolarità della nostra democrazia. Non c’è mai la governabilità.

È cominciato tutto nel 1948. Se si fanno bene i conti tra la Destra – DC, liberali, monarchici, missini… – e la Sinistra – comunisti, socialisti, socialdemocratici, ecc. – viene fuori un bel pareggio. Da allora è sempre stato così, per anni!

Eh no, adesso no, adesso è tutto diverso. Per forza: sono spariti alcuni partiti, c’è stato un mezzo terremoto, le formazioni politiche hanno cambiato nomi e leader. Adesso… adesso non c’è più il 50% a destra e il 50% a sinistra. C’è il 50% al centro-destra e il 50% al centro-sinistra. Oppure un 50 virgola talmente poco… che basta che uno abbia la diarrea che salta il governo.

Non c’è niente da fare. Sembra proprio che il popolo italiano non voglia essere governato. E ha ragione. Ha paura che se vincono troppo quelli di là, viene fuori una dittatura di Sinistra. Se vincono troppo quegli altri, viene fuori una dittatura di Destra. La dittatura di Centro invece… quella gli va bene.

Auguri!!!


4. Attività didattiche da fare in classe

Gioco “L’inondazione”

Tornate da una vacanza all’estero e scoprite che sta piovendo ininterrottamente da tre giorni nella zona dove voi vivete. Al vostro arrivo sentite un altoparlante della polizia che sta percorrendo la strada per avvertire gli abitanti di evacuare, perché il pericolo che il fiume straripi è imminente. Implorate un poliziotto di lasciarvi andare un attimo a casa vostra, il tempo di prendere alcune cose preziose. Alla fine avete il permesso. Entrate in casa e vi rendete conto che avete al massimo 5 minuti per decidere che cosa portare via e potete salvare solo 4 cose prima di andarvene. Quali dei seguenti oggetti prendereste? Se riuscite metteteli anche in ordine di importanza.

  1. Un lungo poema al quale state lavorando da parecchi mesi e che potrebbe essere ammesso al Premio annuale della <<Società di poesia>>
  2. un album di fotografie dei vostri primi anni di vita
  3. un pc portatile
  4. il vestito da sposa della bisnonna che voi/vostra moglie indossò al matrimonio o che state conservando per quando vi sposerete
  5. un diario personale che tenete dall’anno scorso
  6. un veliero in bottiglia che avete fatto all’età di 11 anni, nel periodo in cui siete stati a letto malati per 6 settimane
  7. una chitarra costosa che conservate da molto che rende le musiche suonate migliori di quello che sono in realtà
  8. i registri e i conti del gruppo locale per la pace o gruppo antinucleare, o associazione degli inquilini, o gruppo importante per voi
  9. il vostro paio preferito di scarpe
  10. il vostro cellulare
  11. le vostre pagelle scolastiche da quando avete iniziato la scuola media
  12. il vostro libro preferito
  13. un gioiello prezioso, reglatovi da un caro amico lontano
  14. un carrello con delle piante molto difficili da coltivare e dalle quali siete appena riusciti a fare spuntare i primi germogli
  15. speciali collezioni di francobolli di vostro padre, francobolli americani commemorativi che datano 1920, di grande valore filatelico
  16. lettere d’amore del vostro primo vero fidanzato/a
  17. due bottiglie vecchissime di vino speciale che state conservando per un’occasione speciale

Qualsiasi cosa non tratta in salvo verrà certamente distrutta dall’inondazione.

Avete 5 minuti per decidere.

Attività personale di scelta degli oggetti

Dividere i ragazzi in 5 gruppi e chiedere loro di decidere insieme quali oggetti salvare. Ogni gruppo dovrà riportare la discussione all’interno della classe prendendo le mosse dalla seguente domanda:

Quali sono le difficoltà che avete trovato nel decidere insieme?

Il gioco serve a far riflettere sulla definizione di tema etico. Se la democrazia è una forma di governo che tutela i differenti punti di vista tenendo come principio ineludibile la Carta dei Diritti dell’Uomo, esistono però svariati temi su cui entrano in gioco componenti profondamente legati al gusto, alla sensibilità, al credo personale. La presenza di queste componenti non permettono conciliazioni. Se, ad esempio, l’omicidio è definito un atto che oggettivamente lede la dignità della persona, altri temi come l’aborto, le coppie di fatto, l’eutanasia aprono lo spazio a posizioni diverse e diversamente sfumate. Durata (50 minuti)


5. Film legati alla tematica

Mister Smith va a Washington di F.Capra, Usa 1939

Un giovane leader dei boy-scout è scelto per sostituire un senatore deceduto. I politicanti pensano di maneggiarlo a loro piacere, ma il giovanotto è irriducibile nel denunciarne la corruzione. Da una storia di Lewis R. Foster, Oscar per il soggetto. Satira politica che permette a Capra, grande specchio della società americana, di assorbire e riflettere le tendenze del momento provenienti dal “basso”. La Arthur è più di Stewart la vera protagonista. La demagogia di fondo è mimetizzata capacità di Capra nel fare spettacolo e dirigere gli attori. 8 nomination ai premi Oscar. Rifatto nel 1977 con Billy Jack Goes to Washington.

Le mani sulla città di F. Rosi, Italia 1963

In un quartiere popolare di Napoli crolla un palazzo. Il costruttore Eduardo Nottola se la cava grazie a intrallazzi politici, cambia partito e diventa assessore all’edilizia. Italia, Italia! Leone d’oro a Venezia, è un film politico che rifiuta le soluzioni romanzesche e spettacolari. Rosi espone seccamente i fatti e non nasconde il giudizio. Bello e coraggioso come un editoriale dell’“Espresso” dei tempi d’oro. Oratoria? Sì, ma nutrita di dolore, indignazione, lucidità.

Tutti gli uomini del Presidente di A. J. Pakula, Usa 1976

Come due giovani cronisti del quotidiano Washington Post – Carl Bernstein e Bob Woodward (autori del libro sul quale si basa la sceneggiatura di William Goldman) – scoprirono il collegamento tra la Casa Bianca e il caso Watergate, provocando nel 1974 le dimissioni del presidente Nixon. Piatto come un tavolo di biliardo (ma esiste anche un fascino dell’orizzontalità) nello scrupolo quasi maniacale della ricostruzione dei fatti senza invenzioni romanzesche né indugi psicologici, racconta un’altra volta la vecchia storia di Davide che sconfigge Golia ed è un eccellente rapporto sul giornalismo americano e, forse, l’omaggio più esplicito che il cinema abbia mai reso al “quarto potere”. Incassò negli USA 30 milioni di dollari. 4 Oscar: sceneggiatura, scenografia, suono e Robards attore non protagonista

Il portaborse di D. Luchetti, Italia 1990

Giovane ministro corruttore cinico, arrogante, dinamico, fintamente colto scopre in un giovane professore di liceo del Sud l’uomo adatto a scrivergli i discorsi e a dargli l’imbeccata per dichiarazioni e interviste. Frutto di un’indignazione etica prima ancora che politica, è un film importante e necessario. C’è uno scrupoloso lavoro di documentazione e di osservazione sulla realtà con una cura attenta nel disegno dei personaggi, senza indulgere in schematismi. Scritto da S. Rulli e S. Petraglia su un soggetto di Bernini e Pasquini che, però, chiesero e ottennero di non firmare.

Il muro di gomma di M. Risi, Italia 1991

Il 27 giugno 1980 un aereo DC-9 precipita nel cielo di Ustica. Un giovane e bravo giornalista di un quotidiano milanese fa l’ipotesi di un missile, sdegnosamente smentita dalla autorità militari. Nove anni dopo sono tutti sotto inchiesta. Scritto dal giornalista Andrea Purgatori del Corriere della Sera con Rulli & Petraglia, è un buon esempio di cinema giornalistico e civile: ogni sequenza dà una notizia, la ricostruzione di un fatto di cronaca diventa un apologo forte sul potere politico-militare e le sue vergogne.

Bob Roberts di T. Robbins, Usa 1992

Come un cantante folk di successo che si batte contro la droga, l’immoralità, le leggi sociali per i diseredati, la contestazione degli anni ’60 e a favore della triade Dio, Patria e Famiglia e del Sogno Americano conduce e vince la campagna elettorale per il Senato, sconfiggendo il rivale democratico (Vidal). Sulla scia di un cinema civile di minoranza che ha il suo modello in Un volto nella folla (1957) e i suoi precedenti nei film di O. Stone, è un libello satirico nelle cadenze serrate di un finto documentario di cui ricalca le tecniche di ripresa e di montaggio e il ricorso alla bassa definizione del video. Quest’approccio è, insieme, la sua forza e la ragione principale dei suoi limiti: il manicheismo di fondo, l’appiattimento del privato sul pubblico, la prevaricazione della tesi sui personaggi. Non aggiunge molto di nuovo sull’intreccio tra società dello spettacolo (musicale), mass media e politica, sulle pulsioni isterico-reazionarie dell’elettorato statunitense di destra, sui meccanismi elettorali. È, comunque, un affresco intelligente e corrosivo sull’America del repubblicano George Bush, successore di R. Reagan nel quadriennio 1988-92.

Segreto di Stato di G. Ferrara, Italia 1994

Due onesti eroi, un poliziotto e una giudice, indagano su un attentato a Milano che dà il via a una serie di ammazzamenti, conditi con sparatorie, esplosioni, denaro sporco, conti in Svizzera, dischetti compromettenti. Su un soggetto del giornalista Andrea Purgatori, sviluppato e sceneggiato da Andrea Frezza, il bersaglio principale è il SISDE, uno dei tanti servizi segreti (deviati) che si sono avvicendati durante la 1ª repubblica. Rozzo, schematico con qualche rischio nei dialoghi di cadere nel ridicolo involontario, ma anche film d’azione a ritmo sostenuto.

Il voto è segreto di B. Payami, Iran /It./Svi. 2001

Un soldato è di guardia su un’isola deserta. Al risveglio da un sonnellino vede paracadutare un’urna per le elezioni. Di lì a poco giunge via mare una giovane donna incaricata di farle svolgere in modo regolare. A lui toccherà accompagnarla con la sua jeep per consentirle di far votare i pochi abitanti. Attraverso un deserto in cui sorge un inutile semaforo e le strade polverose dei villaggi si sviluppa un rapporto di stima reciproca tra l’uomo e la donna e, forse, anche qualcosa di più. Film dai lentissimi ritmi iniziali superati i quali si può scoprire la delicatezza di una narrazione che non dimentica mai che la società, con le sue regole di convivenza, è composta da uomini e donne capaci di un sentire che nessuna regola di separazioni tra i sessi può elidere. Non solo il voto è segreto, a volte lo sono anche i sentimenti. Ma qualcosa può trasparire e allora la diffidenza iniziale si trasforma in apertura all’altro.


Video tratti da Why Democracy?

Sottotitoli in italiano a cura del Goethe Institut Turin.

Coming of age (10′ circa) di Judy Kibinge
Questa storia di formazione raffigura le tre età e le fasi di democrazia viste attraverso gli occhi di una ragazza che cresce. L’era Kenyatta, un momento di grande ottimismo ed euforia post-indipendenza, riflette l’innocenza e l’ingenuità della giovane ragazza. Con l’ingresso del Kenya nella sua epoca successiva, sotto la dittatura di Daniel arap Moi, il buio di oppressione e di confusione si riflette nelle turbolenze adolescenziali; infine, nella terza fase, quella della democrazia kenyota sotto Mwai Kibaki, si chiede se la democrazia, con tutta la sua libertà di parola e di apertura abbia veramente raggiunto la maggiore età con la nuova promessa di una democrazia multipartitica.

Don’t shoot (10′ circa) di Lucilla Blankenberg
In Sud Africa tutto è cambiato, ma una cosa è rimasta la stessa – il conduttore del telegiornale della sera in Afrikaans. Cosa pensa ora, guardando indietro? Credeva e crede ancora nelle notizie che legge?

Riaan Cruywagen ha letto le notizie in televisione dal suo arrivo in Sud Africa nel 1976. Egli fa un vanto del soprannome di “Il volto delle notizie in Sud Africa” e del suo record di anzianità di servizio come lettore di notizie in Afrikaans in tutto il mondo. Nel contesto della spettacolare trasformazione del Sudafrica in una democrazia, Riaan spiega come la sua etica professionale gli abbia permesso di conservare il posto per tanto tempo.

Kinshasa 2.0 (10′ circa) di Teboho Edkins

Una campagna su Internet supporta il rilascio di un candidato presidenziale in carcere per aver apertamente denunciato la mancanza di democrazia. Saltando da una militarizzata Kinshasa e Second Life (un programma di chat virtuale in 3D), per esplorare la potenza di Internet per la democrazia. Kinshasa 2.0 racconta la storia di come l’arresto di Marie-Thérèse Nlandu, una donna proveniente da una famiglia di spicco del panorama politico della Repubblica democratica del Congo, sia stato pubblicizzato attraverso Internet e abbia portato il regista Teboho Edkins Kinshasa in Congo, per documentare gli effetti dell’arresto sulla famiglia.

Miss democracy (10′ circa) di Virginia Romero
Un concorso di Miss democrazia giudicato da un filosofo greco, un famoso calciatore, un noto gigolò e una stilista delle celebrità. Cos’è la democrazia – bellezza, o denaro e potere?

Palagummi Sainath on Media (10′ circa)

Palagummi Sainath on Western democracy (10′ circa)

di Deepa Bhatia

Palagummi Sainath (1957 -), il vincitore 2007 del Premio Ramon Magsaysay per il giornalismo, la letteratura, arti creative e di comunicazione, è un premiato giornalista indiano specializzato sullo sviluppo – un termine che evita, preferendo invece dichiararsi ‘reporter rurale’ – o semplicemente ‘reporter’ e fotoreporter; il suo lavoro si concentra su problemi sociali, affari rurali, povertà e conseguenze della globalizzazione in India. Negli ultimi 14 anni ha trascorso tra 270 e 300 giorni l’anno nella aree rurali interne (nel 2006, oltre 300 giorni). E’ Rural Affairs Editor di The Hindu, e contribuisce con le sue colonne alla redazione di India Together. Il suo lavoro vanta l’elogio del premio Nobel Amartya Sen che lo ha denominato “uno dei più grandi esperti al mondo su carestia e fame”.

You cannot hide from Allah (10′ circa) di Petr Lom
Un tassista di Washington DC, dopo aver vinto la lotteria ritorna alla sua città natale, in Pakistan, per concorrere alla carica di sindaco. Questa è la storia del signor Ihsan Khan. Emigrato da un piccolo paese nella provincia nord-occidentale del Pakistan, il signor Khan è stato conducente di taxi a Washington DC per oltre venti anni. Poi, nel 2001, ha vinto la lotteria, 54 milioni di dollari per essere precisi. Quattro anni dopo, decide di usare i suoi soldi per qualcosa di buono: così, è tornato alla sua città natale in Pakistan candidandosi alle elezioni comunali. E ha vinto. Questo film racconta la storia del neo-sindaco, di come si occupi delle infinite denunce di corruzione, delle richieste dei cittadini, delle suppliche affinché egli stesso risolva direttamente i loro problemi. Qual è il rapporto tra denaro e politica in una democrazia? Questa è la domanda di fondo in questo film. Per alcuni il signor Khan ha utilizzato la propria ricchezza per ottenere il potere politico. I suoi difensori dicono che lavora gratis e ha donato oltre un milione di dollari della sua ricchezza in soccorsi dopo il disastro causato dal terremoto che ha devastato la città, nel 2005. Lui dice che il suo unico scopo è quello di combattere la corruzione. Chi ha ragione? La politica democratica è, dopo tutto, un business molto disordinato, dove ognuno ha il diritto di alzare la voce e presentare richieste, denunce, o offrire elogi.

1 L. Canfora, Critica della retorica democratica, Roma-Bari, Laterza, 2002.

2 Tale notoriamente il parere di Amartya Sen e di altri (cfr. K. Basu, Elé Belè. L’india e le illusioni della democrazia globale, tr.it., Roma-Bari, Laterza, 2008).

3 Cfr. i saggi di F. Cardini, La dittatura mediatica del consenso, di N. Tranfaglia, Se si spegne il pluralismo e di R. Natale, Il fiato sul collo dei giornalisti, riuniti in “Confronti”,4, apr. 2009, rispettivamente pp. 10-12, 13, 15.

4 Cfr A. Baldassarre, Globalizzazione contro democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2002, e recensione di G. Giacico in Diorama letterario”, lu.-ag. 2005, pp. 17-19.

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